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Peter von Kant

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Peter von Kant

di yume
8 stelle

Autobiografia per immagini? Forse, ma non c’interessa, è una risposta, ultima in ordine di tempo, su cos’è fare cinema. Dall’alto della sua nuvoletta rosa siamo certi che Fassbinder annuisca soddisfatto.

locandina

Peter von Kant (2022): locandina

Fermiamo l’attenzione sull’incipit: uno sguardo, il viso di Fassbinder che ci guarda attraverso i famosi occhiali a goccia. Guarda noi o il film? Entrambe le cose.

Ozon sposta l’attenzione dello spettatore al livello metanarrativo, Fassbinder è con noi in platea e di fronte a noi sullo schermo, lo spettatore diventa testimone critico di un processo mimetico in cui il regista Ozon funge da mediatore.

C’era un film, cinquanta anni fa, di Fassbinder, Le lacrime amare di Petra von Kant.

Era uno dei capolavori del regista tedesco in cui una donna ricca e famosa, Petra, stilista di grido, s’innamora perdutamente di Karin, giovane ventitreenne di scarsi studi e grande voracità. Le due vivono insieme per qualche mese, Karin risucchia a Petra ciò che può e poi l’abbandona senza un grazie.

C’è un film, Peter von Kant, di Ozon, parla di un regista famoso che s’innamora perdutamente di Amir, giovane efebo bellissimo dai caratteri magrebini, stesso profilo socio-culturale di Karin, stessa mancanza di scrupoli e stesso finale.

Petra e Peter si tendono la mano, donna e uomo, soggetti queer, come si definiscono oggi persone dotate (e sottolineo dotate) di sessualità bivalente.

Entrambi hanno figli, una, matrimoni d’amore alle spalle, vivono una vita intensa professionalmente ma solitaria emozionalmente. Entrambi hanno un segretario/a factotum, assolutamente muto e prono ad ogni loro richiesta.

Il ticchettìo della macchina da scrivere usata dai due muti servi/manichini è il basso continuo di tutto il film, fino al finale emozionalmente catastrofico.

Denis Menochet, Khalil Ben Gharbia

Peter von Kant (2022): Denis Menochet, Khalil Ben Gharbia

Arredamento barocco, gigantografie alle pareti, il “Bacco e Mida” di Poussin troneggia sopra l’enorme letto e il folto tappeto bianco, gira molto champagne, Peter sniffa coca, Petra no.

Petra reagisce al dolore da donna, non è isterica, è vittima di un dolore profondo che la lascia senza forze, arriva a quello stadio di prostrazione che le fa desiderare la morte, mentre Alfredo canta a Violetta : “Di quell’amor ch’è palpito/dell’universo intero/misterioso, altero/croce e delizia al cor”.

Attrazione fatale e difficoltà relazionale, amore e morte.

Morale: l’unica cosa per cui valga la pena di lottare è l’amore.

Stessa morale nel film di Ozon, ma il ribaltamento di genere è fondamentale.

Peter ha una reazione tutta maschile all’abbandono, violenta, muscolare, strepita e rompe tutto, insulta a sangue Sidonie, l’amica, la figlia venuta per il suo compleanno e mammina (lui la chiama  mutti). Le tre assistono esterrefatte al suo parossismo, sarà la madre a placarlo, lo stesso vale per Petra, la mamma è al di sopra di tutto.

Segue in entrambi la quiete indotta da fatale comprensione delle leggi eterne del vivere.

Petra e Peter tornano a darsi la mano, la telefonata di Karin/Amir, prima attesa come acqua nel deserto, ora arriva e riceverà un educato “Grazie, ci vedremo prima o poi”.

Singolare e differente anche l’epilogo in cui i due, segretario e segretaria, muti partecipi di tutte le performances dei padroni, abbandonano la scena.

Somiglianze e differenze, resta da chiedersi il senso dell’operazione di Ozon.

Isabelle Adjani, Denis Menochet

Peter von Kant (2022): Isabelle Adjani, Denis Menochet

Il corpo esibito di Peter (un grande Denis Ménochet visto da poco in As bestas) riempie lo schermo con una fisicità piena, sensuale, coniugata alla levigata bellezza di Amir.

Petra e Karin sono più ascetiche, i corpi non esibiti suggeriscono, e forse l’impatto emozionale risulta più intenso.

Tempi diversi, resta la domanda.

Un omaggio, certo, ad un regista molto amato. Ma non è solo questo.

Le lacrime amare di Petra lasciano il posto ad un humor sottile e straniante, è cinema nel cinema, è guardare andando oltre l’occhio, andare alle radici della suggestione cinematografica.

Lo spettatore è posto al centro, deve per forza guardare i due mondi, osservare cosa cambia e cosa rimane, coglierne la bellezza, la verità, saldare atmosfere lontane create da ispirazioni diverse che si ricongiungono nel segno dell’arte.

E cosa diceva Epstein nel lontano 1921?

Vedere significa idealizzare, attrarre ed estrarre, leggere e scegliere, trasformare. Sullo schermo vediamo quello che il cinema ha già visto una volta, una scelta nella scelta, un riflesso di riflesso”

Autobiografia per immagini? Forse, ma non c’interessa, è una risposta, ultima in ordine di tempo, su cos’è fare cinema.

Dall’alto della sua nuvoletta rosa siamo certi che Fassbinder annuisca soddisfatto.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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