Raccontare il futuro non lontano spesso diviene il pretesto, in particolare al cinema, per riflettere su questione ed argomenti che sono già appannaggio delle nostre abitudini e diventano i cardini di atteggiamenti e tendenze ormai dati per assodati.
Nel 2050 è facile ipotizzare che la società si troverà a vivere una realtà ove l'intelligenza artificiale farà parte integrante di ogni congegno domestico utilizzato per rendere più agevole ogni gesto ed azione.
In un tranquillo quartiere residenziale abitato da persone un po' impulsive e caratteriali, forse proprio perché viziate dall'agiato tenore di vita che li vede serviti e riveriti da un vero esercito di macchine dalle funzioni più svariate (dal semplice elettrodomestico, al cameriere personale), un improvviso corto circuito fa sì che tali robot non rispondano più ai comandi, e comincino a ragionare tentando di assecondare ognuno il proprio arbitrio o più segreto desiderio.
Tra questi ultimi, il tentativo di amare e fare breccia a livello sentimentale sugli esseri umani, che, seppur sviliti da troppi vizi, appaio ancora piuttosto in grado di provare sentimenti, si trasforma in una vera e propria missione che rende ancora più strani, pericolosi ed inaffidabili quei fino a poco tempo prima affidabili servi meccanici.
barricati in casa, ma non per questo più al sicuro dinanzi alla ribellione delle macchine, gli esseri umani dovranno ingegnarsi a sopravvivere a quella che pare, sempre di più, come una nuova forma di dittatura.
E' senz'altro un piacere ritrovare, dopo troppo tempo di silenzio (circa sette lunghi anni) il regista di Amélie e soprattutto di Delicatessen, ovvero il francese Jean-Pierre Jeunet, impegnato a dar vita ad un altro suo film eccentrico ed insolito.
Anche stavolta il regista riesce a rimanerci, almeno in parte, nel cuore, dando vita ad una commedia fantascientifica che fa ridere e sorridere, e nello stesso tempo riesce a dimostrarsi non meno inquietante.
L'unica vera riserva si riferisce al fatto che il film si rivela più un'operina bizzarra, che un prodotto riuscito e solido a tutti gli effetti.
Anche se poi la tematica di fondo si rivela seria, appassionante, come può rivelarsi il segreto delle fasi di un sentimento già complesso presso l'essere umano come si rivela il fenomeno dell'innamoramento e dell'infatuazione, quando esso diviene oggetto di studio da parte di uno stuolo di robot stressati e non abituati ad affrontare problematiche che non possano essere risolte con un semplice calcolo matematico.
Le cause della parziale delusione rispetto alle elevate aspettative che molti spettatori ripongono ogni volta nell'affrontare un opera di un genio come Jeunet, a prima vista potrebbero essere intraviste riguardo alla presenza di un cast certamente all'altezza (tra il parterre coinvolto riconosciamo Alban Lenoir nei panni del robot-gigolò, per il suo ruolo pertanto invidiato da tutti i colleghi, la briosa Elsa Zylberstein e la goffa Isabelle Nanty) ma privo di veri nomi di riferimento, eccellenze miliari, che diversamente avrebbero potuto dar lustro ad un film di primo acchito galvanizzante, ma a lungo andare un po' troppo leggero e sin euforico, che denuncia un qualcosa di sin troppo televisivo (non foss'altro che a produrlo e a renderlo fruibile ci ha pensato Netflix).
In secondo luogo, altre cause che possano giustificare quel certo senso di insofferenza che si può provare guardando questa ultima fatica di Jeunet, potrebbero annidarsi nel fatto che la magia di opere perfette e lucidamente folli ai livelli di Delicatessen (1990), o il calcolato anelito melodrammatico che governava opere struggenti ed indimenticate come Una lunga domenica di passioni (2004), paiono ormai sensazioni lontane, e risoltesi nell'ultimo quindicennio in un generico e certo rassicurante marchio di fabbrica che garantisce risultati apprezzabili, ma non opere indimenticabili come avvenne tra la fine degli '80 e tutti i '90 con Jeunet, fosse o meno coadiuvato dal collega non meno originale Caro.
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