Regia di Jean-Pierre Jeunet vedi scheda film
Cogito ergo sum. Per quanto tutti conosciamo a menadito il vecchio esergo secondo il quale errare sia umano e perseverare sia diabolico, il processo irreversibile che sta traghettando l’umanità nel futuro mostra sempre gli stessi immancabili errori, senza inglobare una seria e condivisa riflessione.
Di fatto, continuiamo a compiere dei passi più lunghi della gamba, che denotano un lento quanto inarrestabile declino del pensiero, catalizzando tutti gli sforzi disponibili al fine di incrementare la produttività in ogni tipo di mansione, a cominciare da tutto ciò che risulta strettamente riconducibile alla sfera delle comodità, demandando quindi alla tecnologia la più grande mole di lavoro pensabile.
Da parecchio tempo a questa parte, il cinema ha allungato il suo sguardo sul futuro, soffermandosi principalmente su scenari per nulla confortanti, tra invasioni aliene e catastrofi climatiche, riconoscendo in più casi – da Terminator in giù - il nemico numero dell’umanità nello sfrenato sviluppo tecnologico.
Con Big bug, il visionario e talentuoso regista francese Jean-Pierre Jeunet s’iscrive a questo folto gruppo in costante espansione, rimanendo fedele al proprio più che riconoscibile marchio di fabbrica stilistico, albergando tuttavia a una notevole distanza - come livello qualitativo - dalle sue opere più prestigiose, premiate e destinate a essere tramandate ai posteri.
Pianeta Terra, anno 2045. Quando le Intelligenze Artificiali sferrano un attacco all’umanità, mandando simultaneamente in crisi ogni tipo di attività, un gruppo di persone si ritrova imprigionato all’interno di un’abitazione.
Tra gli altri, si tratta di Alice (Elsa Zylberstein – Ti amerò sempre, Uno più una), la padrona di casa, di Max (Stéphane De Groodt – Il viaggio di Fanny), il suo nuovo corteggiatore, l’ex marito Victor (Youssef Hajdi – Adele e l’enigma del faraone), appena arrivato per una visita imprevista con la sua nuova fiamma Jennifer (Claire Chust – Champagne!), e di Francoise (Isabelle Nanty – Il favoloso mondo di Amélie), la vicina. In più, condividono lo spazio con alcuni robot casalinghi, come Monique (Claude Perron – The Horde), completamente sganciati da questo progetto di dominio globale.
Più trascorrono le ore, più la situazione diventa scomoda e sale la tensione, fin quando riceveranno la visita delle nuove autorità, che dovranno fronteggiare attingendo a risorse che nemmeno immaginavano di possedere.
Approdato direttamente in piattaforma (è prodotto da Netflix) senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio (è disponibile da mesi, si può tranquillamente affermare che sia già finito nello sgabuzzino dei ricordi, delle cose da vedere), Big bug applica a uno scenario futuristico, per dirla tutta un po’ penalizzante per com’è formulato, lo stile inconfondibile di Jean-Pierre Jeunet (Una lunga domenica di passioni, L’esplosivo piano di Bazil), sia per scrittura sia nella messa in scena.
Circoscritto a una limitante unità di luogo, dalla quale comunque si evince un’inusuale ricchezza di dettagli e cromatismi associati con proverbiale gusto, punta tutto su dialoghi ed esternazioni, su una tipologia di umorismo che intenderebbe intrattenere sollevando contemporaneamente delle riflessioni sulla condizione umana.
Trattasi di lapalissiani segnali di fumo, di un campanello di allarme che avvisa sui rischi che stiamo correndo. Con una situazione che sta sfuggendo di mano, con gli esseri umani che stanno diventando – cammin facendo - schiavi della tecnologia, smarrendo per strada manualità e conoscenze, mandando il cervello in panne e, di conseguenza, consegnando in mani sconosciute la nostra stessa primaria autonomia.
L’invettiva è assolutamente percepibile e condita da alcuni contrappunti affilati (a un certo punto, pure le Intelligenze artificiali vanno in crisi, d’altronde hanno avuto pessimi insegnanti), ma il rendimento rimane ridotto e contrastato, da corsa sul posto, completo di optional accattivanti così come di una certa ridondanza e di fasi di stanca, di passaggi piuttosto vaghi e superflui che smorzano l’andatura.
Infine, il cast è vivacemente assortito, senza punte di diamante in evidenza ma con una rimarchevole sinergia generale (peraltro, gran parte degli interpreti avevano già avuto modo di collaborare tra loro).
A conti fatti, Big bug rimarrà tra le pellicole meno ricordate di Jean-Pierre Jeunet (vertice artistico: Delicatessen – apice del consenso: Il favoloso mondo di Amélie). Possiede invenzioni folgoranti, tuttavia si attorciglia su se stesso, fornisce indicazioni stimolanti ma è anche un po’ sfiancante, troppo diluito per quanto sia cosparso di un pacchetto di pregevoli intuizioni. Senza dimenticare che si assume l’ingrato compito di ricordarci – non ci fa mai piacere essere tirati per le orecchie - i nostri deficit (alcuni in via di definizione, altri in ampliamento sfrenato), quelli che ci stanno facendo trasformando in esseri obsoleti, che ormai ci spediscono in crisi alla prima cosa che non va esattamente come programmato (già oggi, basta un minimo disguido per cascarci).
Surreale e dispersivo, impietoso e impertinente.
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