Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
L'amore ai tempi della city
Un ragazzo innamorato della fidanzata del fratello, una modella ed il suo amante, un barbone misterioso; vicende umane che avranno il loro fulcro in un lago di sangue. Inarritu fa una rappresentazione della gente di borgata, l’incomprensibilità di un rapporto agli occhi di un ragazzo ingenuo, quasi divorato egli stesso da quel clima, quasi la violenza facesse parte del mondo intero, dell’intero mondo visibile ai suoi occhi in una vita di miseria dove anche una grande opportunità si rivela in tutta la sua terrificante essenza. Un uomo che trova una vita di fuga dalla monotona vita che si è creato passando, dalla noia assoluta, all’orrore puro che il regista suggerisce con una regia fredda, con tempi rarefatti e con le figure inquietanti dei due coniugi che si calano sempre più nella nevrosi. Quasi il male non fosse più la città malfamata quanto l’uomo che quella città ha voluto e che poi ha voluto scalare ai suoi vertici, quasi la miseria, in ogni sua forma, non desse mai in fondo una vera via di fuga. Il terzo episodio è un noir, i dialoghi serrati ed i personaggi sopra le righe si dipanano in sequenze tesissime, una matrioska di rivelazioni che porteranno alla beatificante redenzione tramite un’opera controversamente etica ed una confessione tuttaltro che santa, l’alienazione dalla società come unica salvezza e l’amore per un peccatore come unico rapporto possibile, qualunque sia questo peccatore. Quasi una parabola sulle varie forme d’orrore in un dramma che pone l’uomo faccia a faccia con quanto è diventato, una parabola iperviolenta che trasporta i tre protagonisti quasi fossero lo stesso personaggio malgrado i diversi stati sociali e le diverse vicende affrontate, quasi quello che cercano non fosse quello che devono cercare, la cui ricerca poi porterà (seppur con serenità) ad una inevitabile rassegnazione.
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