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Amores perros

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su Amores perros

di scandoniano
10 stelle

 

Octavio è un perdigiorno infatuato della cognata, incinta per la seconda volta del fratello manesco e fedifrago. Un giorno Octavio scopre per caso di aver un cane fenomenale nelle battaglie clandestine, per cui comincia ad alzare un bel po’ di soldi ed ipotizza la fuitina con la bella Susana, ma quando il rothweiler, per gelosia, viene quasi ucciso dal suo rivale, Octavio decide di pugnalarlo e scappare, provocando un grave incidente stradale; la modella Valeria, all’apice del successo, finisce su una sedia a rotelle a causa del medesimo incidente e vive assieme al suo cagnetto, che un giorno entra in un buco nel parquet, dandosi per disperso per alcuni giorni: l’episodio comporta forti rancori col compagno, che si dissipano solo quando a Valeria viene amputata la gamba destra; il sicario El Chivo, incaricato da un uomo d’affari di accoppare il fratellastro, è in realtà in un periodo di crisi personale, per cui manda a monte il piano dell’uomo, giocando un bello scherzetto ad entrambi e decidendo di cambiare vita, anche in seguito al ritrovamento del cane di Octavio, prelevato dal luogo dell’incidente e curato come un figlio.

 

Storie di varia umanità che ruotano attorno a tre temi: l’amore, i cani, la morte, con un incidente automobilistico a fare da fil rouge e centro nevralgico delle vicende, in cui rapporti tra tutti i personaggi, che siano personali o occasionali, si vanno concretizzando e diventano completamente chiari solo con l’avanzare della pellicola. Il tutto condizionato volutamente da scelte di montaggio che, al di là della suddivisione in capitoli previsti dalla sceneggiatura, in realtà parlano di un’unica storia, nella quale ogni vicenda ha modo di sfiorare le altre ed influenzarle inevitabilmente. Un tema quest’ultimo che si rivelerà centrale nella poetica del regista, che le affronterà in maniera altrettanto efficace anche nei due successivi film (21 grammi e Babel), non a caso considerati insieme ad Amores Perros la cosiddetta trilogia della morte.

 

Con Amores Perros, Alejandro Gonzàlez Iñàrritu conquistato il mondo del cinema, tanto da schizzare immediatamente a Hollywood, dove avrà modo di affinare ulteriormente la sua tecnica (fino ad arrivare all’Oscar con Birdman). AmoresPerros rappresenta un film d’esordio folgorante, già esemplificativo di tutti i concetti propri di Gonzàlez Iñàrritu. Un film strutturato magistralmente, ben girato, con il giusto equilibrio tra sensazionalismo e profondità nella narrazione. Il merito di questa pellicola strabiliante va condiviso con la crew del regista messicano, vale a dire il fenomenale Guillermo Arriaga ad occuparsi di soggetto e sceneggiatura, Rodrigo Prieto alla fotografia e Gustavo Santaolalla alle musiche. Il montaggio, fondamentale qui, non poteva che essere appannaggio dello stesso regista, data la forte simbiosi con la scelta delle inquadrature.

 

 

Si potrebbe affermare che è impossibile dichiarare di conoscere il meccanismo temporale nel cinema, nella sua accezione di tempo della narrazione, senza aver visto tutti i film di Gonzàlez Iñàrritu. Scopriremo che ad ogni pellicola il regista messicano aggiungerà un tassello nel suo personalissimo modus di esperire il tempo e di piegarlo al proprio volere, spettacolarizzando senza trascendere in un esercizio di stile. Per Amores Perros si può parlare di narrazione circolare ad incastro, con le stesse vicende narrate da punti di vista differenti, riprendendo talvolta la medesima azione da un’altra angolazione, dunque con un’altra prospettiva. Un tarantinismo che non è fine a se stesso ma, lo vedremo, funzionale all’apprezzamento di Gonzàlez Iñàrritu come autore e filosofo prima ancora che come regista.

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