Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Davvero un grande film, che ti fa capire quanto sia importante avere l'appoggio di una sceneggiatura a prova di bomba! Poi la regia ci mette del suo, con la sapiente alternanza di registri stilistici, un ricorso calibrato all'estetica di tanto cinema degli anni 2000 (mdp a mano, montaggio nevrotico, alcune scelte musicali, sgradevolezza dei dettagli), l'ancoraggio ad uno sguardo realista, capace però di suggerire talvolta una lettura metaforica; gli attori sono convincenti; ma è il copione la vera forza di questa opera. Se l'epicentro del film è puramente tarantiniano (un incidente dal quale si disperdono tre diverse vicende), lo sviluppo narrativo evita sapientemente la cerebralità gratuita e, con sublime leggerezza, riesce a far quadrare tutti i riferimenti reciproci. Ne esce un potente e articolato affresco sul genere umano, che si scopre essere incredibilmente affine a quello canino. Una polifonia del dolore, della fatalità, della crudeltà. La densità tematica di quest'opera è tale da includere, senza ridondanze, riflessioni sul senso di colpa, la possibilità di un riscatto, lo sfascio delle relazioni familiari (separazioni, tradimenti, lotte fratricide), il denaro come unico fattore determinante nelle relazioni interpersonali, l'intrecciarsi dei destini delle persone secondo la logica dell'homo homini lupus. Credo che uno dei momenti più alti del film sia quello in cui l'abominio viene sparato in faccia ai responsabili: i due soci/fratellastri, imbavagliati dal barbone, con una sola pistola a loro disposizione, il momento più sarcastico di tutto il film, che ricorda Tarantino per il gusto del paradosso, di cui amplifica il risvolto morale.
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