Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Il “Traffic” del titolo, non riguarda il peggior problema di Palermo, bensì il traffico di droga. Ed intorno ad esso, come ci confermeranno gli altri film, prima e dopo, di Steven Sodebergh, ci sono una miriade di frammenti: un universo multiforme di personaggi alla Giovanni Verga, con uno stile alla Tarantino, con la fotografia ora sovresposta, ora livida, ora sfocata. Come sfocate sono le storie che Sodebergh traccia: inizialmente, ed apparentemente, solipsistiche, fatte di vibrazioni incompatibili con le altre, ma pian piano sempre più vicine, fino a completare il percorso che da parallele le interlaccia, rendendole puramente incidenti. Una storia di droga che coinvolge giudici e ragazzine, poliziotti e trafficanti, generali e subalterni, messicani e statunitensi, signore iscritte al golf club e ignare segretarie nullafacenti. La droga è un cancro e il traffico è il detonatore per la sua metastasi: e Sodebergh lo denuncia. Con la sua inequivocabile cifra stilistica, che tramuta frammenti apparentemente sfilacciati in perfette tessere di un mosaico. I frammenti, forse il più evidente dei clichè del regista della Georgia: sequenze che si rincorrono tecnicamente e tematicamente in maniera antitetica, s’alternano quasi per caso, talvolta con una rapidità schizoide quasi da video clip, per poi diventare una sola cosa nel finale, quando tutte le storie, che ora corrono assieme verso una conclusione univoca, trovano una propria collocazione.
Traffic lancia definitivamente quel fenomeno di Benicio Del Toro, consacra il caratterista Guzman e dà spazio al futuro candidato all’Oscar Don Cheadle. Menzione speciale per l’ottimo Michael Douglas, vero protagonista del film, in una delle sue migliori interpretazioni.
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