Regia di Jacques Demy vedi scheda film
Il film, attualmente ancora visibile su Rai Play, è stato proposto in streaming dalla RAI negli scorsi giorni insieme ad altre otto famose pellicole che Quentin Tarantino, eccezionale presentatore dell’evento televisivo, ha utilizzato, in diversa misura, in C’era una volta a Hollywood, la sua ultima attesissima fatica
Una storia del 1968
Los Angeles era in pieno sviluppo edilizio; interi quartieri di piccole case in legno venivano distrutti e, al loro posto, grattacieli in cemento armato sorgevano all’insegna della speculazione edilizia.
George Matthews (Gary Lockwood), promettente laureato in architettura, si era impiegato nel settore, ma se ne era venuto via dopo un po', disgustato non tanto dall’avidità dei nuovi padroni della città, quanto dal ruolo subordinato di cui, a scapito dei suoi progetti e delle sue speranze, avrebbe dovuto accontentarsi per chissà quanto tempo ancora.
All’inizio del film lo vediamo al risveglio, vicino a Gloria (Alexandra Hay), la biondina che l’aveva accolto nella modesta casetta in legno, perché amandolo (e sperando segretamente di cambiarlo), ne aveva, con qualche riserva mentale, accettato la vita un po’ scapestrata di intellettuale auto-disoccupato, incapace di adattarsi alla dura legge del mercato del lavoro.
Lei, che invece accettava le offerte di lavoro numerose in quel momento, voleva diventare danzatrice o foto-modella, ma non gli celava più il desiderio di un figlio e di una famiglia con lui, con modi così ricattatori e rancorosi da lasciare immaginare la prossima rottura della loro vita di coppia.
George, squattrinato, alla guida dell’auto di lusso comprata a rate, cercava ora, fra gli amici in citttà, i cento dollari indispensabili per non farsela sequestrare, mentre due eventi concomitanti stavano per imporgli scelte di senso per il proprio futuro: un sorteggio aveva deciso che sarebbe partito per la guerra in Vietnam e una donna affascinante e misteriosa era apparsa all’improvviso davanti a lui che, incantato, ne seguiva da lontano l’auto bianca lungo le strade di Los Angeles: quella bella creatura non poteva davvero passare inosservata, tutta bianca nell’abito e nel velo che ne celava, come i grandi occhiali scuri, la riconoscibilità.
L’avrebbe avvicinata al Model Shop, lo studio “artistico” in cui le modelle posavano per le foto osé scattate e sviluppate dai clienti-voyeur. Un lavoro come un altro, gli avrebbe detto lei, Lola (Anouck Aimée); un lavoro per tornare a Parigi al più presto, dal figlioletto quattordicenne che era impaziente di rivedere.
Una corrente di amorosa comprensione si era stabilita fra loro; la notte seguente, nell’abitazione di lei, confidenze, rivelazioni, ritrattazioni e ammissioni avevano preceduto e infine concluso il loro appassionato incontro, l'unico, poiché la partenza di lei per Parigi aveva preceduto di qualche ora l’inderogabile impegno militare di lui, in attesa del proprio futuro incerto.
Di questo film, piccolo ma toccante momento di nouvelle vague in terra di California, rimangono nella nostra memoria la “flanerie” in auto di George; la sua dolcezza amorosa, protetta e camuffata da un’involontaria aggressività del linguaggio; l’indeterminatezza delle cose che sarebbero accadute sulle quali incombeva la minaccia della morte possibile, non esorcizzata dal silenzio o dalla rimozione. Rimane il racconto del dolore per l’ineluttabile distacco, che Lola aveva anticipato per evitare il melodramma scomposto degli addii e dei pianti, ma non per questo meno crudele.
L’Amante perduta – ModelShop (1968) è un’opera ricca di situazioni e di personaggi presenti anche nei precedenti film del regista francese, in tournée a Los Angeles, Jacques Demy * (1931-1990), il brillante cineasta legato al gruppo della Nouvelle Vague, cui sembravano aprirsi le porte di Hollywood dopo che nel 1967 aveva fatto uscire Les Demoiselles de Rochefort, il suo musical con Gene Kelly.
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* Lo aveva accompagnato, nelle diverse tappe della sua lunga e non sempre facile tourneé transcontinentale, Agnès Varda, sua moglie dal 1962.
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