Regia di Stefano Chiantini vedi scheda film
Il problema sta in una sceneggiatura piatta e priva di acuti, che ha fretta di arrivare al dramma ma non trova il modo di ingenerare empatia per la protagonista.
ALICE NELLA CITTÀ 2022 - PANORAMA ITALIA
Pronti, via: Teresa perde il lavoro, a suo dire perché il bimbo di un anno che si porta dietro ha imbrattato i muri di casa alla signora medio borghese presso cui presta(va) servizio. Lungo la strada passa al supermercato e ruba degli omogeneizzati, poi li dà da mangiare al piccolo. Una volta a casa, si incazza col marito Pietro perché, precario e senza un soldo come lei, ha il brutto vizio di giocarseli. Dopo qualche altro minuto dedicato al degrado del contesto e al disagio della protagonista, il viziaccio del marito presenta il conto: o meglio, a presentarlo è uno strozzino, che dopo aver aggredito l'uomo minaccia il pupo, costringendo Teresa a farlo fuori per difenderlo.
Dissolvenza in nero, poi un didascalia sposta l'azione avanti di dieci anni, con Teresa che esce dal carcere.
Poteva essere un incipit discreto, compresa la scelta - legittima - di saltare a pie' pari la galera, a sottolineare da subito e senza fronzoli che l'urgenza era quella di concentrarsi sul dramma di una donna che al ritorno dalla detenzione si trova sradicata a casa propria, percepita come un'estranea dalle uniche due persone che sapeva avere care. Eppure, a funzionare è ben poco. E c'entra fino a un certo punto (ma di certo non aiuta) la curiosa inflessione romanesca a singhiozzo cui è costretta la pur volenterosa Emma Marrone (ormai attrice oltre che cantante). Il problema è ben più grosso, e sta in una sceneggiatura piatta e priva di acuti, che ha fretta di arrivare al dramma ma non trova il modo di ingenerare empatia per la protagonista, e che ha la presunzione di asciugare il racconto dai dialoghi per tutta la parte centrale dimenticando che il silenzio va comunque riempito con qualcosa di più della ripetizione a nastro di azioni di vita quotidiana destinate a rimanere fini a sé stesse.
Il ritorno a casa di Teresa a fine pena è umanamente terribile, perché la sua voglia di mettersi a disposizione si scontra con il muro di gomma del marito, che nel frattempo si è riorganizzato la vita, e del figlio, che negli ultimi dieci anni degli undici che ha si è abituato a non cercarla: peccato che il suo dolore non riesca a bucare lo schermo, al punto che gli eventi che seguono, e che tendono a confermare la distanza incolmabile che fa ormai di lei un'intrusa in una famiglia dalla quale il tempo - per primo - l'ha espulsa, non fanno il 'male' che vorrebbero, non emergono ma, innocui e inconsistenti, affondano insieme alla routine messa in scena serialmente nella precedente mezzora semimuta.
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