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Living

Regia di Oliver Hermanus vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Living

di George Smiley
7 stelle

Mr. Williams è un burocrate del dipartimento dei lavori pubblici di Londra ormai vicino alla pensione, vedovo e con un figlio e una nuora che pensano soprattutto all'eredità. Dopo una vita passata dietro le scartoffie dell'ufficio gli viene diagnosticato un cancro allo stadio terminale, lasciandogli dai 6 ai 9 mesi di vita. Affrontato l'iniziale smarrimento, Williams prende coscienza del grigiore assunto dalla sua esistenza col passare degli anni e decide di usare il poco tempo che gli rimane per portare a compimento un progetto a lui caro: un'area giochi per bambini la cui realizzazione si è da tempo arenata fra le maglie della burocrazia...

Non avendo visionato il film originale di Akira Kurosawa mi limiterò a qualche considerazione sparsa su questo remake ad opera di Oliver Hermanus: film complessivamente ben realizzato e diligentemente diretto, soffre tuttavia di una certa fretta di concludere la vicenda che porta il terzo atto (quello in cui i colleghi di Williams cercano di ricostruire le motivazioni del suo repentino cambiamento) ad essere disomogeneo rispetto a quanto visto in precedenza e finisce per rendere palese ciò che lo spettatore aveva già intuito da sè senza però approfondire più di tanto gli ultimi mesi di vita del protagonista, riparando troppo facilmente sui buoni sentimenti. Non aiuta il fatto che i personaggi secondari, seppur funzionali, sono alquanto piatti, fatta eccezione per la giovane collega e poi amica di Williams, Margaret Harris (ben interpretata da Aimee Lou Wood), la quale avrà un forte impatto sul suo risveglio dal torpore di una vita all'ombra del settore pubblico. Ciò che però eleva decisamente il film al di sopra dei propri limiti è l'interpretazione toccante e viscerale di Bill Nighy, il quale ritrae un uomo ingessato da anni di ubbidienza alle regole e al dovere, mancante di sinceri slanci emotivi, la cui apparente inscalfibilità viene travolta e distrutta dall'incombere della morte. L'approssimarsi dell'addio definitivo è la molla che fa scattare nell'uomo la ricerca tardiva del vero sè, perso tra le vicissitudini della vita, avvertito il bisogno disperato di compiere un atto significativo che possa donargli un ultimo istante di felicità. Un'interpretazione che non può non commuovere, con Bill Nighy che si carica il film sulle spalle e lo porta (quasi) da solo al traguardo.

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