Regia di Christian Schwochow vedi scheda film
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VISTO NEL FEBBRAIO 2022
Ennesimo film dedicato alle mostruosità partorite dalla mente di Adolf Hitler. Unita a queste, la capacità di ingannare i suoi equivalenti politici e referenti negli incontri diplomatici del tempo, instillando in essi l’illusione che le sue promesse e rassicurazioni fossero attendibili. In verità il führer della Germania nazista, ben prima di provocare lo scoppio della seconda guerra mondiale aveva ben chiari i propri disegni espansionistici. Non mancarono uomini, anche in quella stessa nazione ormai obnubilata da una manicomiale dittatura, che tentarono di fermare il progetto del pittore mancato austriaco, divenuto il capo di stato più temuto e mal compreso del mondo.
Di questo parla il bel film del cineasta tedesco Christian Schwochow (prima d’ora nessuna opera che io conoscessi) che ricostruisce i fatti avvenuti nel 1938, al tempo in cui la Germania si mostrò determinata a invadere la regione dei Sudeti della Cecoslovacchia, persa dopo il primo conflitto mondiale. Espediente che si rivelò solo il primo, piccolo passo hitleriano per tentare di conquistare mezzo mondo. Tutto ruota intorno all’incontro fra l’allora primo ministro inglese Neville Chamberlain con Adolf Hitler al vertice diplomatico che si svolse a Monaco. Fu lì che il capo del governo della Gran Bretagna, determinato a non farsi complice di un’entrata in guerra contro la Germania, decise di dar credito alle promesse di non belligeranza del dittatore nazista.
Nei panni di Chamberlain troviamo un Jeremy Irons (nel 2016 nel cast dell'apprezzato Race - Il colore della vittoria) a mio avviso un tantino sacrificato, costretto a irrigidirsi in un personaggio legnoso e a tratti perfino imbranato di fronte a eventi che appaiono davvero troppo grandi per lui. In effetti il ruolo del primo ministro britannico in quei giorni, è tutt’oggi ancora motivo di studio e interpretazione e questo giudizio sospeso emerge anche dalla sceneggiatura (Power), adattamento cinematografico del romanzo di Robert Harris.
Protagonista principale ed efficace del lungometraggio di Schwochow è George MacKay, giovane interprete che abbiamo apprezzato per la prima volta nel bellissimo 1917 di Sam Mendes. L’attore londinese (classe 1992) personifica la figura chiave del fallito boicottaggio del fatuo accordo Chamberlain-Hitler, che per breve tempo illuse il Regno Unito e forse l’Europa intera di avere percezione delle intenzioni del Führer. Il suo Hugh Legat, funzionario vicinissimo al premier seppure sottovalutato per la sua giovane età, non riesce a correggere il corso degli eventi nemmeno con la forza di una scabrosa prova documentale.
Di fianco a MacKay se la cava più che bene pure il renano Jannis Niewöhner (Narciso e Boccadoro nel 2020) nella parte del diplomatico tedesco ma cospiratore contro la dittatura nazista Paul von Hartmann, deciso – come extrema ratio - a eliminare Hitler di persona. Nota di merito per August Diehl, davvero efficace – dopo la frizzante caratterizzazione di un ufficiale della Gestapo in Bastardi senza gloria di Tarantino - nei panni dell’ufficiale responsabile del servizio di sicurezza del folle tiranno coi baffetti. Dal suo sorriso inquietante e dal suo sguardo alienato, traspare tutta la sviscerata e cieca fedeltà di una parte del popolo tedesco al leader del nazionalsocialismo.
È un film ben fatto, credibile e da vedere perché parla di un momento importante di una storia non così lontana e per le analogie che in essa sono riscontrabili col presente della guerra tra Russia e Ucraina. Voto 7,8.
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