Regia di David Blue Garcia vedi scheda film
Cucù!
Il tutto sommato pacifico - ma che non perde tempo a imburberirsi se gli ammazzi un famigliare, vai a capire! - seghelettricaiolo che a 70 anni suonati (anche se poi in fondo è un po’ un tipo senza età, come Malgioglio) non ha ancora imparato ad usare armi da fuoco (si potrebbe pensarla come una scelta anti-NRA, peccato solo che tutto il resto del film sembra uno spot per la raccolta fondi della campagna elettorale di Ted Cruz o Marc Rubio: studentessa delle mediuglie sopravvissuta ad un massacro in una scuola perpetrato con AR-15 o roba simile imbraccia un fucile semiautomatico: quando cadi da cavallo la prima ed unica cosa da fare è quella di rimontare subito in sella, cazzo!) però riesce a danzare con la grazia di uno Spike Jonze sotto metanfetamina è tornato per la (più o meno) nona volta, in questo “Texas ChainSaw Massacre” ch’è il terzo seguito diretto e indipendente dell’originale (che, cioè, azzera di nuovo tutti gli altri seguiti, e si distingue particolarmente dal resto dei componenti la saga per non avere il “the” iniziale e per riunire “chain” e “saw” in un’unica parola composta), e con lui rispunta anche – ricicciando nel solco della moda recente che vede le final-girl (divenute final-milf) vedersela a distanza di quarti e metà di secolo coi loro incubi peggiori: ad esempio la Laurie di Jamie Lee Curtis nella continuità retroattiva dell’“Halloween” carpenteriano organizzata da David Gordon Green e la Sidney di Neve Campbell nel requel (sequel + reboot) di “Scream” che raccoglie l’eredità di Wes Craven – la Sally del film capostipite, interpretata da Olwen Fouéré (This Must Be the Place, the Survivalist, Mandy, Animals, the Northman) perché Marilyn Burns nel frattempo è deceduta (1949-2014), così come del resto il LeatherFace orignale, Gunnar Hansen (1947-2015), qui facciacuoizzato da Mark Burnham, riuscendo però a passare il testimone ad un’ottima Elsie Fisher (Eighth Grade, Castle Rock), la nuova final-teen (che cavalca verso l’orizzonte s’una Tesla…), autrice di un’ottima interpretazione assieme a Sarah Yarkin (qui al suo primo ruolo importante), Moe Dunford (Dublin Murders) e Alice Krige (la Regina Borg in alcune versioni dell’universo di ST-tNG e la madre di Prairie in “the OA”).
Slasher diretto con la giusta dose di gore (e basta) da David Blue Garcia (qui alla sua opera seconda dopo “Tejano”) mettendo in scena una sceneggiatura di Chris Thomas Devlin (qui al suo primo script in attesa di “CobWeb”) basata s’un soggetto di Fede Álvarez e Rodo Sayagues tratto dalle caratterizzazioni originali di Tobe Hooper e Kim Henkel. Fotografia di Ricardo Diaz (All Fun and Games), montaggio di Christopher S. Capp (HoneyMoon) ed ottime musiche del grande Colin Stetson (Hereditary, Color Out of Space, MayDay), che non bastano.
Parte benino (il cucù tra i girasoli è ok, ma il percorso che porta alla morte della biondina è scritto e girato in maniera respingente per idiozia conclamata), prosegue galleggiando sulla sufficienza e finisce benino (col giusto tocco di cinismo/nichilismo, sfumato dal contrasto straniante col contesto di guida “autonoma” non del tutto ben inserito, riuscito, utilizzato).
“Try anything and you get canceled, bro!”: roba che “X” di Ti West al confronto è un saggio metacinematografico allo stato puro.
Si lascia vedere, ma certo non “da” vedere.
* * ¾ - 5.5
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