Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Circola un’aria strana in ”Unbreakable“, il nuovo film scritto e diretto da M. Night Shyamalan e interpretato da Bruce Willis e Samuel L. Jackson. Un’aria sospesa tra il parapsicologico e il film di genere, che disattende volontariamente le regole di quest’ultimo e non si preoccupa troppo della logica e della credibilità dell’intreccio “fantastico” (e questo probabilmente è il suo maggior difetto). Il passo è quello calibrato e insinuante del ”Sesto senso“: più atmosfera e aspettativa che azione, la macchina da presa che non ha nessuna fretta di staccare e montare, ma continua ad aggirarsi intorno ai protagonisti, sui loro primi piani, sui loro silenzi e i loro palpabili dubbi. Le prime sequenze, quella della nascita del bambino nero dalle ossa incredibilmente fragili e quella che precede l’incidente ferroviario nel quale si trova coinvolto e miracolosamente illeso Bruce Willis, sono molto belle; com’è ben risolta e tutt’altro che banale la scena nella casa devastata dal killer, con l’imbarazzo e il terrore che paiono invadere il salvatore Bruce Willis. Però qualcosa manca, rispetto alla stringente, inattaccabile struttura del film precedente di Shyamalan. Pare quasi che l’idea, curiosa e stimolante, che sottende il film («Quanti giorni della tua vita sei stato malato?», chiede un interlocutore ancora misterioso al protagonista, istillandogli così il dubbio della sua indistruttibilità), il contrasto tra due personaggi che si trovano ai poli opposti dell’efficienza fisica, si sia come bloccata sul nascere, che il regista e sceneggiatore non l’abbia espansa fino alle profondità davvero tormentose alle quali poteva arrivare. Perciò, la parte centrale del film finisce per girare su se stessa, con ricordi surreali di Terry Gilliam (la scena nella stazione). E la lentezza, che è uno dei pregi di Shyamalan, rischia di diventare un difetto della struttura narrativa.
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