Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Il mega successo inaspettato del Sesto Senso (1999), è la svolta della vita per Night M. Shyamalan, che improvvisamente si ritrova al centro delle attenzioni di tutta la critica mondiale e con un pubblico in spasmodica attesa per le sue nuove opere, che non tarderanno ad arrivare data la miriade di offerte giuntagli sul tavolo da parte degli studios, ma il regista indiano come più volte farà in carriera prende in contropiede tutti e per la divisione Touchstone della Disney, prima ancora dell'esplosione del genere e quindi anticipando i tempi, gira Unbreakable - Il Predestinato (2000), una sua particolare quanto personale visione del cinecomics, partendo da una prospettiva, una trattazione e un punto di vista insolito, ma originale in fin dei conti; se esiste un'estremo, deve per forza essercene un altro dal capo opposto di esso, con peculiarità speculari, così la pensa Elijah Price (Samuel Jackson), uomo affetto sin dalla nascita da una rara malattia genetica, che ha reso fragili e deboli le sue ossa, inclini facilmente a fratturarsi, per questo costretto a condurre una vita appartata, coltivando sin dall'infanzia l'hobby del fumetto, convincendosi dell'esistenza dei supereroi nella realtà, identificandone uno nell'anonimo borghese David Dunn (Bruce Willis), unico sopravvissuto ad un incidente mortale su un treno a Filadelfia, che invece ha ucciso tutti gli altri passeggeri, la cosa più incredibile è la totale assenza di fratture o escoriazioni sul proprio corpo, il che pone nell'uomo delle domande su sè stesso, alimentate sempre più dalle teorie in apparenza strampalate, ma in realtà intriganti da parte di Elijah, riguardanti la sua vera natura.
Via ogni intreccio narrativo e la costruzione a tessa di puzzle, che tanto fecero la fortuna del Sesto Senso, Shyamalan ha totalmente carta bianca nel poter gestire il proprio cinema come meglio crede, puntando su un'atmosfera intimista, valorizzata alla grandissima dalla sublime colonna sonora del compositore Howard, adorando in particolare Visions più di tutte, per via un profondo moto di autoconsapevolezza, che essa riesce a sussurrare nell'animo di due personaggi altrimenti condannati all'apatia del quotidiano, ed invece nonostante i problemi differenti; la fragilità ossea di lui e l'apatia di una vita borghese senza via d'uscita causa problemi con la moglie Audrey (Robin Wright Penn), tramite l'elemento fantastico dapprima sentito come loro estraneo e poi sempre più preponderante nell'intercedere della narrazione, escono dai limiti auto-impostasi, per giungere ad un nuovo stadio di percezione di sè stessi, alla ricerca di un proprio posto in un mondo annichilente, conformista, insignificante e sempre più auto-reclusasi in sè stesso.
Shyamalan si libera della parola, per trovare nuove potenzialità tramite l'immagine, tramite il bel piano sequenza inziiale nel treno, con accorti movimenti di macchina, riusciamo a comprendere i mutamenti d'animo di David Dunn, dove comprendiamo che il matrimonio con la moglie è allo sfracello, tramite l'atto di togliersi la fede cercando goffamente di approcciarsi ad una donna, per poi recedere dal proposito.
Un film sulla sofferenza e sulla depressione di uomini comuni, di cui la macchina da presa con i suoi movimenti accorti ne sottolinea lo stato d'animo mutevole, così come il loro cambiamento di prospettiva netto (tante inquadrature ribaltate ci sono), tramite l'immissione della fantasia all'interno dell'anonimità delle loro esistenze; sopratutto per Elijah, i fumetti saranno la via d'uscita dallo squallore di un'esistenza passata reclusa in una stanza innanzi al riflesso di una TV, trovando in essi un hobby salvifico, ma anche una radicale lettura differente della realtà, vedendo nella nona arte odierna, il punto di arrivo, nonchè anche modo per tramandare anche mitologie rese in forma commercialmente appetibile per la massa tramite la struttura in vignette e l'utilizzo dell'archetipo del supereroe, con tutti i significati che tale figura si porta dietro.
Qualcuno ha paragonato David Dunn ad un Superman non cosciente di essere tale, ma non credo che Shyalaman guardi solo a tale figura, quanto piuttosto al primo dei tre cicli narrativi del Miracleman di Alan Moore (Sogno di un Volo) e alla sua modalità di gestione dell'archetipo del supereroe in un contesto reale.
David Dunn sino a quel momento, ha vissuto in una condizione di totale straniamento nei confronti dei suoi poteri, al sorgere dei quali, egli risulta scettico a contrario del figlio Joseph (Spencer Treat Clark), che invece crede fermamente che suo padre sia un supereroe con una grande forza fisica, strane ed alienanti, ma colme di meraviglia per l'ignoto, sono le riprese ripetute dei pesi aggiunti al bilanciere o quando il protagonista si accorge di poter avere dei flash delle vite altrui, semplicemente toccando le mani delle persone; essere un supereroe quindi per David Dunn è aver trovato il proprio posto nel mondo, cosa che pensava di aver perso per sempre quando per amore verso Audrey, dovette abbandonare il gioco football, guadagnando il suo amore, ma condannandosi ad una vita di totale anonimato e apatia, che a lungo andare, comunque ha finito con il logorare il legame con la moglie, il che spiega pure il fatto del perchè non abbia mai avuto coscienza del proprio potenziale, visto che David Dunn era un morto dentro prima dell'incidente, perchè era lui stesso a non credere minimamente in sè.
Mai rinunciare alla propria essenza in una società massificata, in questa chiave di lettura si coglie la potenza del twist plot finale, dal chiaro meccanismo meta-cinematografico e tematico, più che narrativo in sè com'era quello del Sesto Senso (1999), portando molti incoscienti a bollarlo come deludente, forse perchè a Shyamalan interessava la genesi e l'origine di un supereroe, il primo atto insomma, l'essenza stessa del mito, non l'azione (molto poca e mai debordante) e con Unbreakable, il regista crea probabilmente il miglior cinecomics di origini su un personaggio, che non deriva da alcuna fonte cartacea certo, ma trova base nell'idea stessa di un cineasta, che accetta appieno la componente wired del proprio cinema deludendo in parte il pubblico e la critica (su 75 milioni incassa 248 ai botteghini, oltre la metà in meno del suo precedente film, con recensioni molto più miste), ma sancisce la nascita di un nuovo autore tra alti e bassi.
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