Regia di Ang Lee vedi scheda film
In un’epoca sospesa tra mito e storia (il medioevo cinese) un filosofo spadaccino, una giovane discepola ribelle e una saggia guerriera intrecciano i loro destini. Eroi e eroine del wu xia pian, il cappa e spada orientale rivisitato con rigore filologico e fiabesco da un regista di Taiwan, Ang Lee, da venticinque anni emigrato in America. Fosse un film western, potremmo considerare “La tigre e il dragone” come (già) classico. In occidente critica e pubblico si entusiasmano per una novità che sugli schermi di Pechino e Hong Kong scorre da oltre trent’anni. Ang Lee non è Tsui Hark e “La tigre e il dragone” non è bello come “The Blade” (recuperatelo in cassetta, IIF Home Video). Tuttavia siamo di fronte ad un’opera preziosa. Perché coinvolge in una messa in scena emozionante capace di coniugare poesia e violenza, armonia e bellezza, secondo una coreografia di immagini tipica del genere. Inoltre vale come punta dell’iceberg: un eventuale Oscar (su cui si vocifera con insistenza) e il grande successo in America, potrebbero favorire la distribuzione di capolavori sommersi. “La tigre e il dragone” è dunque un “altrove” cinematografico: un mondo nuovo dove i personaggi volano restando verosimili, e dove la magia è parte delle cose. Il combattimento sui bambù, chiaro omaggio al cult del filone “Touch of Zen” di King Hu, merita da solo qualunque premio.
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