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Gostanza da Libbiano

Regia di Paolo Benvenuti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gostanza da Libbiano

di yume
8 stelle

Gostanza da Libbiano è il terzo film che Benvenuti dedica al potere e al suo rapporto con l’individuo, la sua coscienza e la sua capacità di resistenza.

locandina

Gostanza da Libbiano (2001): locandina

San Miniato al Tedesco nel Granducato di Toscana, Novembre 1594.

Il reverendo magistro padre Mario Porcacchi da Castiglione, inquisitore vicario del Sant’Uffizio in San Miniato e una bambina entrano frettolosi nello spazio in controluce della campagna toscana, un’alta torre liscia, squadrata e senza merli indica il cielo a chi vuol guardarlo, brume lattiginose sfumano nell’alba imminente.

 

Lucciola lucciola vieni da me

ti darò il pan del re

il pan del re e della regina

lucciola lucciola vieni vicina

 

La bambina canticchia e saltella intorno al pozzo della corte, il reverendo messer Tommaso Roffia, vicario foraneo del reverendissimo monsignor vescovo di Lucca nella terra di San Miniato, la guarda severo dalla finestra dell’avìto palazzo della curia vescovile.

Ha in mano una bacchetta, tra poco entrerà dietro il suo scranno e dirigerà la fase istruttoria del processo alla strega di San Miniato, monna Gostanza da Libbiano, accusata di pratiche magiche e mercimonio col diavolo.

Ser Vicenzo Viviani, notaro pubblico fiorentino, registra tutto con bella grafia e penna d’oca intinta con gesto sicuro nel calamaio, nel 1989 Franco Cardini ricostruisce con precisione documetaria la vicenda  (Franco Cardini, Gostanza, la strega di San Miniato: Processo a una guaritrice nella Toscana medicea” Bari, Laterza, 1989) enel 2001 Paolo Benvenuti e gli Arsenali Medicei filmano quel che  successe 407 anni prima  in quelle amene contrade.

Nel 1594 nel castello di Lari, vicino a Pisa, due donne e due uomini, di fronte a un notaio e al vicario del vescovo di Lucca, accusano Gostanza da Libbiano di aver provocato la morte di alcuni bambini per mezzo di pratiche stregoniche; Gostanza, interrogata al processo che si svolse a San Miniato, ammette di aver usato alcuni unguenti e di aver posto sulle partorienti una candela in segno di buon augurio, ma nega di aver causato la morte dei neonati…” [1]

 

Un rintocco di campana per ogni titolo di testa, quindi si apre il processo, tutto è bianco oppure nero, inchiostro, pece o notte senza luna, bianca la mano di Gostanza che giura, nero il Vangelo che il Vicario le porge, bianchi i capelli, la pelle del viso, la benda che le incornicia le guance, nero il suo corpo nudo appeso alla fune sullo sfondo chiaro della finestra, che urla ascendetemi, ascendetemi  quando lo strazio la vince.

Parlerà e dirà ai torturatori di visioni stupende nella “Città del Diavolo”, oro e meraviglie ovunque…

Vedeste! Un palazzo tutto parato d’oro, ci si dava al buon tempo e si godeva, si chiama il paese del gran diavolo nella sua città, che di qua non ce n’è di quelle città, più bella di Firenze, belle mura parate, bei palazzi e cornici fiorite…chi v’andava una volta vi sarebbe tornato sempre…

 e lui, il Diavolo, bellissimo, una guardatura fiera, e stava seduto su una sedia d’oro, che là ogni cosa è d’oro e ognuno che giungeva gli faceva riverenza con un bell’inchino…

Vi facevano giurare sul Libro? chiede il reverendo

Quel libro, lo teneva il Gran Demonio nella mano:

I mi vi dò in carne ed ossa a Voi, Satanasso Maggiore e rinnego Dio, il Battesimo, i Santi, ogni cosa

 

Gostanza tende il braccio e ripete la formula mentre il suo viso si trasfigura sotto i capelli scarmigliati.

L’Inquisitore è perplesso:

Ma tutte queste cose, le avete dette per la verità o per paura?

E’ tutto vero quello ch’ho detto, e non per paura

Lucia Poli è in sintonia grande con Gostanza, ne incarna, fino alle sfumature più sottili, il pensiero che diventa parola, gesto, urlo, ma, soprattutto, sguardo, intenso, dolente e aguzzo, quello di una popolana sapiente, donna da tenere a bada e, se possibile, cancellare con tortura e fuoco.

Il fuoco non toccherà  Gostanza, la sua straordinaria capacità di affabulazione e l’incontro con Dionigi da Costacciaro, Inquisitore, sì, ma persona di cultura e certo anche di spirito, hanno smontato l’edificio autoaccusatorio svelandone la beffa e l’atroce necessità.

 “ Gostanza è praticamente ad un passo dal rogo quando, il 19 novembre dello stesso anno, al processo interviene un nuovo inquisitore fiorentino, Dionigi da Costacciaro, uomo di solida cultura, si accorge che le confessioni di Gostanza sono piene di luoghi comuni (il nomignolo del demone, la frittura di ostie, il gatto nero, i rapporti carnali con il diavolo), ingenui elementi di un repertorio di immagini alla portata di tutti, e decide di tenerla in carcere ancora per alcuni giorni interrompendo la tortura. L’inquisitore la interroga altre volte; il 24 Novembre, infine, Dionigi chiede a Gostanza se voglia ancora confermare ogni cosa: la vedova, esausta, spiega che è tutto falso, e di aver raccontato quelle storie per la paura della fune. Il 28 Novembre il processo si chiude con l’assoluzione di Gostanza che viene riconosciuta innocente, ma l’inquisitore intima la donna di non usare più pozioni terapeutiche e di trovarsi un’altra casa in un’altra città…[2]

Gostanza ha dunque mentito per paura della tortura della fune (la scena, più volte ripetuta, è di insopportabile violenza nella sua asettica stilizzazione), ma nel raccontare crimini e misfatti la scopriamo invasa da una manìa creativa che va oltre la paura, e allora racconta per il piacere del raccontare, per una spinta interiore di rivalsa e infine per un’affermazione di autonomia fiera e orgogliosa contro chi la sta massacrando inerme.

Si cala così in una finzione oscenamente realistica e crea un repertorio di fabliaux che avrebbero fornito materia a Bosch per il fantasmagorico  elemento mostruoso o a Masaccio per il livido e muscolare realismo delle immagini.

Gli Inquisitori ne sono soggiogati, la beffarda fantasia di Gostanza li irride nella loro rozza ignoranza integralista e mette a nudo, ancora una volta, il gioco vile del potere che si abbatte sulle sue vittime.

E racconta, Gostanza, racconta il piacere che da me il diavolo si prendeva e come si sguazzava sulla mia natura, sette volte per notte!  e poi ancora l’intima gioia nell’usare le sue magiche pozioni per uccidere creaturine appena nate o nel fiore degli anni, e praticar magie e fatture e quanto di più perverso l’umana natura potesse ideare.

 

Gostanza da Libbiano è il terzo film che Benvenuti dedica al potere e al suo rapporto con l’individuo, la sua coscienza e la sua capacità di resistenza.

Il bacio di Giuda e Confortorio erano stati i primi due quadri, ora tocca ad una donna piegata da torture che non sono soltanto quelle di un presente maledetto, sembra esserci nei suoi racconti una parte di verità che viene abilmente mescolata alla fantasia, certo per un riflesso di dolore troppo estremo per essere esibito nella sua nudità.

Gostanza racconta di essere la figlia della serva e che viveva nel Palazzo del signore padre la stessa infanzia spensierata della bambina che cantava vicino al pozzo.

Io non sono la contadina quale voi mi vedete

Io sono la figliola di messer Lotto Niccolini, nobile fiorentino.

Mia madre, monna Aquiletta che stava da lui per serva rimase di me ingravidata.

Un giorno, quand’ero una fanciulletta di otto anni, trovandomi alla villa di mio padre, mentre che stavo da sola dinanzi alla casa, passorono di lì tre pastori che tornavano di Maremma.

Mi presono ‘n collo e mi menorono via…

Lenzo mi sposò e mi prese per moglie.

Quello che segue è uno dei più sconvolgenti racconti di infanzia stuprata che possa capitare di ascoltare, reso da una donna composta e severa.

Avvolta dal buio che la isola dal mondo circostante, è una fonte di luce nel suo vestito da contadina.

Si è parlato di Rossellini (di cui fu assistente), Dreyer e Bresson per trovare illustri antecedenti a questo cinema di Benvenuti che procede per depurazione dell’immagine, nudità essenziale della figura, ora femminile, in altri momenti maschile, un concentrato di forza che trova nella parola la sua carica eversiva più devastante e vincente.

Benvenuti ha indicato il Vangelo come fonte della sua ispirazione:

Sono inciampato nel Vangelo e vi ho scoperto la matrice di ogni pensiero veramente libertario. La forza più rilevante del testo si ricava dallo scontro di Gesù con le strutture politiche; il Gesù che combatte lo strapotere del Sinedrio è profondamente antisecolare. Forse proprio per questo le stesse strutture politiche, rinnovatesi in suo nome, hanno poi cercato nella storia qualcuno o qualcosa contro cui esercitare la supremazia "morale" oltre che di fatto: gli ebrei, cioè, in quanto più vicini, i veri infedeli, e le donne, trasformate in streghe e démoni per la loro femminilità. I libri che mi hanno più formato in tal senso e che, assieme al Vangelo, ho tenuto per lunghi periodi vicini sono L'opera del tradimento di Mario Brelich e il Gesù di Dreyer (in "Cineforum", n. 386, luglio-agosto 1999, p. 36).? 

 

Gostanza è l’essenza del femminile nel suo travaglio esistenziale in un mondo che la rifiuta, la opprime, la sfrutta.

Per ribaltamento, dai suoi racconti  di veneficio e demonismo emergono la passione per la vita e l’amore per la natura di cui è profonda conoscitrice.

Gostanza cura, ama, fa nascere bambini, conosce nomi di erbe medicinali, sa placare il dolore e aggiustare ossa, ne parla con orgoglio, all’inizio, quando ancora crede in un mondo in cui la parola Dio equivalga a bontà e giustizia e la Maternità che affresca il muro del Seminario corrisponda a quell’idea di amore che c’era nella sua mente.

Sarà inquisita e torturata perché diversa, perché donna, povera, straniera e sapiente, in un mondo di uomini barbari e potenti.

Ancora e sempre Medea, in una tragica variazione sul tema.

E allora Gostanza regalerà a quegli uomini vestiti di nero il suo Diavolo bellissimo e d’oro.

La Cantigas de Santa Maria, Des oge mais quer‘eu trobar (Oggi chiedo solo di cantare) di Alfonso X di Castiglia, eseguita da L’Amoroso Cantar, accompagna il suo esilio da San Miniato, stessa torre e stesso cielo della scena di apertura, ma ora una donna libera e una bambina si allontanano nella foschia.

 

[1] dalsito web  www.ilgrandevetro.com

 

[2] ibid.

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