Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Inizia con una coppia sposata con due figlie completamente felice per poi mostrarci tutte le ombre che l’affliggono. Il marito sembra estremamente sicuro di sé, la moglie invece sembra modesta ed insicura. Persino loro si chiedono come mai esistano coppie infelici e non si mettono d’accordo se ciò dipenda da una difficoltà comunicativa o nello stile di vita che hanno. I dubbi sulla compattezza del loro matrimonio sorgono una sera in cui una coppia sposata, loro amica, litiga ferocemente e dichiara loro l’imminente divorzio, ostacolato solo da ragioni economiche. Allora alla moglie iniziano a sorgere dei dubbi, comincia a pensare forse che il suo matrimonio è fallibile e s’accorge improvvisamente che la sua vita è troppo fastidiosamente programmata. I suoi dubbi s’aggravano quando riceve una signora che le annuncia di voler divorziare perché non ha mai amato la sua famiglia. Nulla è mancato a questa donna, ma non ha mai amato i suoi cari, si è illusa, si è sforzata di amarli ma non c’è riuscita. Allora alla moglie s’insinua forte e pericoloso il dubbio: “Non è che anch’io mi stia illudendo e sforzando di amare i miei?”. Ma anche suo marito ha delle gatte da pelare. S’accorge che le poesie che scrive sono vuote e fini a sé stesse. È una sua collega a dirglielo e lui, per tutta risposta, s’adira e rischia di perdere il controllo. Emerge allora che tutta la sua sicurezza non è altro che una costruzione pericolante con lo scopo di coprire la sua insicurezza, la sua piccolezza e la sua insoddisfazione. È un megalomane voglioso di fama e niente più. Quando poi marito e moglie discutono sulla loro mancanza di passione e sui loro insoddisfacenti rapporti sessuali, quasi litigano e s’impongono il silenzio. Ormai è chiaro che qualcosa non va. Nonostante continuino ad ostentare allegria, è evidente che stanno nascondendo la polvere sotto il tappeto. È lampante che si stiano auto-ingannando e stiano forzando la loro felicità.
Tutto va a rotoli quando il marito annuncia alla sua consorte d’amare un’altra donna e di partire con lei. È una valle di lacrime per la moglie che si lascia andare alla disperazione più totale. Ormai gli inganni che si sono ingenuamente (o sapientemente?) imposti stanno saltando per aria. Ma lei non riesce proprio ad accettare la realtà.
I due consorti si rincontrano alcuni mesi dopo e quasi fanno l’amore, ma si lasciano in fretta e furia per paura di perdere il fragile equilibrio che hanno faticosamente raggiunto. Lei lotta con la depressione, lui con una vita insoddisfacente e brama un ritorno al passato. Un passato che guarda con sottile ambiguità.
Passano altri mesi e ed i due si rincontrano per firmare le pratiche per il divorzio. Sembrano tutti e due cordiali e sereni. Fanno addirittura l’amore e stavolta ne gioiscono. Forse uscire da una vita matrimoniale regolata fino al millesimo ha fatto loro bene? Che avessero bisogno solo d’evitare una terribile monotonia? Che necessitassero di fuggire solo da una vita vuota e senza significato? Al momento di firmare, il marito confessa di voler tornare con la moglie e d’esser depresso, ma stavolta è quest’ultima che non vuole, perché ora sembra aver accettato la realtà serenamente. Finalmente cadono definitivamente le maschere. La moglie confessa d’aver amato il marito per costrizione ed imposizione ed ora pare essersi liberata di quest’obbligo. C’accorgiamo allora che lei è una donna che non ha mai potuto avere dei propri sentimenti ma che tutto gli è stato imposto fin da piccola ed aveva accettato la sua vita coniugale, affetti compresi, con religiosità. Il marito allora, umiliato dal suo rifiuto e dalle sue parole, l’accusa d’essere anaffettiva e perde il suo infallibile autocontrollo per diventare violento e mostrare il suo vero volto: egoista ed egocentrico. Scopriamo così definitivamente la sua immaturità e la sua inguaribile angoscia, che lo spingono a cercare continuamente una via di fuga dal presente.
Infine sono passati altri anni. I due sono sposati con altre persona ma… sorpresa, sono diventati amanti. Ma, nonostante tutto, sono cresciuti. Riescono a potersi guardare finalmente in viso ed ad analizzare il loro amore infelice e felice. Così, in una casa sperduta nel buio, s’abbracciano teneramente, galleggiando in un tenero e breve idillio che stavolta non ha bisogno di menzogne per sopravvivere.
Già dall’inizio, la vita della coppia somiglia ad una bomba pronta ad esplodere. E, attraverso lo scorrere del film, scopriamo la psicologia e l’identità dei personaggi che si va formando come un mosaico. Vediamo allora due individui piccoli ed immaturi, che s’impongono la bugia per sopravvivere e che non riescono ad essere sinceri col proprio partner perché mentono persino a loro stessi. La loro odissea indica così la follia del presente, la confusione di un mondo assurdo e privo di scopo in cui gli individui non sanno più a cosa appigliarsi per vivere e non riescono a notare l’assurdità che li circonda. L’esistenza è fine a sé stessa e la consapevolezza porta solo angoscia, allora si ricorre continuamente alla menzogna ed alla fuga dalla realtà. Ma l’unico modo di trovare la serenità è ammettere la tristezza incurabile del presente e smettere di cercare affannosamente una sfuggente felicità, che esiste solo in senso idealistico. Il magnifico finale ne è l’emblema.
Bergman predilige gli spazi chiusi e fa poco uso di attori secondari, cosicché i due protagonisti possono dominare la scena. Questo sta ad indicare la mancanza d’ossigeno ed il senso di chiuso, di prigione che affligge la coppia, incapace di vedere l’infelicità che li tormenta e costretti a vivere in una realtà fittizia. Il loro senso di solitudine, li costringe alla compagnia l’uno dell’altro e, pian piano, mostra loro sempre più chiaramente lo squallore della vita matrimoniale. Cosicché la realtà li consuma e li logora lentamente.
Questa lucida analisi della vita matrimoniale, forse non è la miglior cosa di Bergman ma è certamente un’opera di notevole qualità. Scontati gli elogi al regista, il ritmo è infallibile ed i due protagonisti sono eccellenti. Essi riescono ad incarnare perfettamente i loro personaggi accentuandone e mostrandone con incredibile efficacia tutte le ambiguità, i dubbi, le contraddizioni ed i sentimenti confusi che li affliggono e riescono a comunicare le loro sensazioni anche solo con uno sguardo. Lo spettatore viene così inevitabilmente coinvolto dalla vicenda, ansioso di vedere l’evolvere della loro triste/fortunata vita coniugale e portato in uno stato angoscioso che non è altro che uno stato di riflessione più profondo
Tabellino dei punteggi di Film Tv ritmo:2 impegno:3 tensione:2
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Tieni presente che il progetto complessivo di un'opera come questa (una specie di sintesi di tutta la sua precedente produzione che poi porterà a conclusione con il magnifico "Fanny e Alexander") girata prima di tutto per la televisione, è quello seriale di uno sceneggiato diviso in sei puntate della durata complessiva di quattro ore e quaranta minuti di trasmissione.
La pur densa e complessa riduzione in 155 minuti realizzata per lo schermo, è dunque un ridotto compendio che dà perfettamente l'idea dell'insieme, ma non è "esattamente" tutto quello che Bergman ci aveva messo dentro... e poichè uno dei temi fondamentali dell'opera è proprio "il tempo", credo che la mancanza di più di un'ora del girato, anche se non modifica il senso finale del discorso (che è poi la cronaca minuziosa dell'inesorabile decomposizione del rapporto di coppia) perde una buona parte dei necessari dettagli che ne definiscono i passaggi con il variare degli anni, lo fa diventare meno analitico. Possiamo allora definre questa straordinaria variazione amplificata di Danza di morte di Strindberg (e parlo ovviamente dell'edizione lunga) una tragedia moderna che è anche un lunghissimo dibattimento sentimentale "a porte chiuse" intriso di autobiografismo probabilmente "liberatorio" che attinge in buona parte proprio dalla vitaprivata del regista? Io credo proprio di sì, anche perchè Bergman alla fine mettendo in scena molto del suo "privato", finisce per stigmatizzare proprio l'insidiosa disumanizzazione indotta dall'individualismo moderno ( e non a caso con "Un mondo di marionette" Bergman proseguirà poi il discorso mettendo in scena proprio due personaggi secondari di questo Scene da un matrimonio, un'altra coppia che questa volta vuota il sacco in pubblico durante una cena con esiti ancor pià definitivi e disastrosi che rasentano la tragedia).
Grazie del commento. Credo anch'io che molto di quello che viene detto nel film, venga attinto dalla vita privata del regista. E' tipico di questi geni dell'introspettivismo attingere ai fatti personali per analizzare qualcosa e metterlo in scena (Fellini ed Allen ne sono un fulgido esempio). Difatti anche "Fanny e Alexander" conteneva molti temi autobiografici. Ti dirò che non sapevo che esistesse una versione televisiva più lunga di "Scene da un matrimonio". E' reperibile in italiano? Comunque la versione cinematografica, anche se è un sunto di quella integrale, mi è parsa comunque assai significativa ed analitica. E' uno dei film più intelligenti che ho visto su questo tema. Ora sono curioso di vedere la versione integrale.
Non per che mi risulta almeno in un DVd italiano non è disponibile adesso purtroppo.
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