Regia di Patrice Leconte vedi scheda film
È ispirato liberamente al romanzo di Georges Simenon “Maigret e la giovane morta” (1954) questo bel film firmato da Patrice Leconte, il regista che dal 2014 era stato assente dal grande schermo. Nelle sale italiane dal 15 settembre 2022.
“La mia pipa si chiama Magritte”
questa bella battuta, verso la fine del film, ritrae icasticamente la metamorfosi del celebre commissario – nato dalla penna di Simenon – che sta invecchiando in compagnia della sua pipa, ridotta, ormai, a pura immagine, avendo perso la sua funzione fondamentale. Maigret, infatti, non può più fumarla, vietata dal medico per i problemi che l’eccesso del fumo da tabacco aveva provocato ai suoi polmoni, dilatati oltre misura alla ricerca di ossigeno.
Con la pipa di nome Magritte, dunque, Maigret (Gérard Depardieu) si contentava di simulare i gesti del fumatore che era stato, di tenerla ancora all’angolo destro della bocca, di annusarne il profumo, di giocarci, come se l’analogia dei gesti gli facesse ritrovare la passione per la verità del detective che era stato.
Gli anni cominciavano a farsi sentire; il suo fisico si era appesantito, ma la sua mole imponente non gli impediva di muoversi con curiosità vivace e agile intuito negli oscuri segreti di Parigi, nell’atmosfera dei boulervards e dei locali, fra la diversa umanità che vi si aggirava.
Lì trovava uomini e donne delle classi più elevate – i cui comportamenti trasgressivi e talvolta viziosi non dovevano essere resi pubblici – così come le candide e indifese ragazze di provincia, arrivate a Parigi senza arte né parte, ansiose di ribaltare grazie alla beauté de l’âge la condizione di inferiorità sociale e di esclusione di classe.
Un raccapricciante ritrovamento
La Senna aveva fatto ritrovare Il corpo di una giovane donna, trafitto dai colpi di pugnale: forse un’ingenua, caduta nella trappola di un assassino: una telefonata aveva raggiunto e informato il vecchio Maigret sempre più inquieto, risvegliando in lui la voglia non solo di ricostruire i fatti, ma di arrivare, attraverso una difficilissima detection, a comprendere quale fosse stato il sentire di quella bella giovinetta , quali i pensieri e i desideri che avevano occupato la sua mente, da quando aveva affittato un sontuoso abito da sera, fino all'orribile morte violenta.
Leconte, che si era già confrontato con Simenon in L’insolito caso di Mr. Hire (1989), ripropone in questo Maigret alcune caratteristiche del suo cinema: l’attenzione minuta per i gesti (o le parole) anche apparentemente insignificanti della varia umanità che racconta, nonché situazioni, e atmosfere malinconiche presenti in qualche film precedente: Il marito della parrucchiera (1989); Confidenze troppo intime (2004)
Appena accennato, ma di estrema importanza, il triplice aspetto autobiografico della vicenda; Maigret – come il suo autore Simenon e come Gerard Depardieu – avevano conosciuto la tragedia della perdita prematura e violenta per suicidio di una figlia (di un figlio per Depardieu).
Nell’interpretazione del grande attore, questo dolore diventa l’occasione per comprendere – al di là di ogni giudizio morale – le ragioni profonde di troppe vite spezzate, accompagnate dalla necessità di riscattarle attraverso la propria pudica sofferenza di padre, che con lo spirito malinconico dell'uomo che si avvia al tramonto, scopre la verità degli accadimenti salvando, con affettuosa attenzione tutta paterna, una fanciulla dalle viziose brame dei ricchi parigini, sulla vita dei quali non intende esprimersi: ai reati, se esistono, penserà il giudice.
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