Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
Questa Immensità di Crialese ha valore giusto se riferita al coming out del regista, Emanuela da bambina e col tempo ed operazioni chirurgiche, divenuta uomo. Cinematograficamente invece lascia parecchio a desiderare: una serie di quadretti elementari e sfilacciati dove una famiglia che non lega fin da subito evidenzia più che una madre alla ricerca d’affetto, la Cruz a scimmiottare Carrà e Patty Pravo.
Tutti caratteri disegnati con l’accetta, un padre freddo, anonimo, infedele; tre figli lasciati alla mercé che replicano come possono, chi volendo cambiare sesso chi defecando dietro la porta del salotto, una mamma serena solo se può canticchiare i successi tv ripresentati a getto continuo.
La transizione, meglio il rapporto, tra Adriana e un Andrea in embrione coi suoi capelli corti e il rimanere in maglietta al mare, o anche quello tra moglie e marito, sono scandagliati ai minimi termini; si accumulano solo episodi che accennano e troncano ogni evoluzione, come il bacio tra Adriana e la piccola nomade.
Si preferisce puntare sull’onirico dei balletti tv dove rimane in mente giusto il prisecolinensinainciusol tra i banchi della chiesa anche se ricorda fin troppo gli ultimi Pope sorrentiniani.. alla fine, incompiuta Adriana, incompiuta mamma Cruz (costretta pure in parentesi riabilitativa anti depressione), incompiuto anche il film, anche se lascia ovviamente presagire il futuro ma senza quel pathos, quell’emozione che situazioni così estreme dovrebbero comunicare, trasmettere.. si resta affacciati su quel bordo di anni ‘70 dove la frase più profonda si ferma al “Non sei Adriana, ma non sei neanche Andrea”.
E noi la riformuliamo a Crialese: non sei Spielberg ma non sei neanche Ozpetek.
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