Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Per nostra fortuna ci sono persone che, restando fedeli a se stesse, ci fanno da bussola, ci aiutano a non perderci troppo. Orlando è dedicato a queste persone.
A Nord di Roma, nell’antico Lazio dove i Romani fecero le prove generali del loro istinto predatorio andando a procurarsi donne-schiave , togliendole a mariti, figli e focolari accesi, c’è la Sabina.
Il ratto famoso fu immortalato nell’arte più e più volte, e nel magnifico vortice di colori e gesti ci si dimenticò di dire qualcosa dei paesotti arretrati abbarbicati a picchi rocciosi e dei contadini che sembra stiano lì da secoli, immutati e immutabili, anche se c’è un bar, si gioca a tressette e c’è telefono e pure internet.
Bene, di Sabina ci parla Daniele Vicari che, nato proprio lì, ben conosce i luoghi di quest’Italia in cui o sei del Nord o sei del Sud, tertium non datur.
Zona franca, ma Camus, a cui nulla sfugge, cosa diceva di Silone?
“Guardate Silone. Egli è radicalmente legato alla sua terra, eppure è talmente europeo!”
Ed europeo è Vicari che trascina il povero Orlando (Michele Placido, perfetto), contadino sabino, nientemeno che a Bruxelles, splendida e piovosa capitale non solo dell’Europa geografica ma dell’Europa morale, economica, bancaria ecc. quella di cui tanto si dice e che pochi sanno veramente.
Ricordiamo solo che è la patria di Magritte e di Brel, così la rimettiamo al posto giusto.
A Bruxelles era emigrato vent’anni prima Valerio, il figlio di Orlando, giustamente desideroso di lasciare maiali e galline e far fortuna.
La fortuna era stata di non finire a Marcinelle o nel Borinage, ma granchè non fece, stando al racconto della figlia Lyse che non ha nemmeno conosciuto la madre, una belga che l’ha mollata al padre e via.
Valerio ha fatto lavoretti vari, ristoranti, mercati, roba di strada.
E il padre Orlando gliel’aveva detto.
Da allora non si erano più sentiti né visti.
Morta la madre moglie di Orlando, il passato sparisce e resta un presente vuoto, grigio per entrambi.
E poi Valerio muore, Vicari evita di dirci come e in fondo non importa a nessuno, vite grigie che si trascinano nell’anonimato, a chi volete che interessino?
Però c’è Lyse, sedici anni e un visetto pulito, sembra la bella copia di Greta, capelli biondissimi da perfetta figlia delle Fiandre, insomma un Van Dyk originale.
Lysa è cresciuta bene, non fa smorfie, sa destreggiarsi nella città dei grattacieli ripresi sempre dal basso, sa pattinare benissimo e lo spettatore si augura che sia quello il suo successo nella vita.
Perché lo merita, e lo merita Vicari che ce la mostra come un sano esempio di gioventù odierna.
Orlando va a Bruxelles e sulla sua Odissea si potrebbero scrivere romanzi, anche comici, se non fosse disperazione pura.
Non parla la lingua, ma nemmeno l’italiano, solo poche parole e in dialetto puro. Ha cucito i soldi nella fodera della giacca, pare che sia approdato sulla Luna, ci si chiede come farà.
La nipotina, giustamente, non vuol seguirlo al paese, il funzionario dei servizi sociali è umano, e non è poco, e sarà la salvezza per tutti, soprattutto per lo spettatore che ha seguito angosciato la vicenda per due ore.
E sarà la musica che, come sempre e più della bellezza, salverà il mondo.
Un organetto, Orlando sa suonarlo, si balla fra la gente, si tende il cappello per un obolo, ci si prende per mano.
A Bruxelles sfavillante di luci di Natale, ricca e opulenta capitale del capitale, il traffico si ferma davanti all’abbraccio di nonno e nipotina.
Poi la vita riprende, niente paura e nessuna retorica natalizia, la musica di Theo Teardo sa come accompagnarci nel modo giusto.
E in un film che nel finale tocca tre, esattamente tre momenti di commozione pura, subito negati da una ritrosia contadina che unisce due mondi agli antipodi in un nodo strano ma reale, questa vicenda molto possibile e prevedibile merita un magnifico verso di Silvio Ramat:
“… a bordo non un’ombra di pilota. / Tutto è rimesso alla grazia del vento”.
NOTE DI REGIA:
Siamo immersi in un mondo che cambia così velocemente che ci sfugge. A volte ci sfugge persino il senso stesso delle nostre esistenze. È così da sempre e oggi ancora di più. Per nostra fortuna ci sono persone che, restando fedeli a se stesse, ci fanno da bussola, ci aiutano a non perderci troppo. Orlando è dedicato a queste persone.
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