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Il pataffio

Regia di Francesco Lagi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il pataffio

di axe
6 stelle

Il "marconte" Berlocchio di Cagalanza giunge, insieme alla consorte "marcontessa" Bernarda, figlia del sovrano di Monte Cacchione, presso la terra di Tripalle, per prendere possesso del feudo, concessione del suocero. Purtroppo, non ha fatto un buon affare. La "marcontessa", molto "abbondante" e malaticcia vorrebbe consumare il matrimonio, cosa che Berlocchio rinvia continuamente; il feudo è abitato da villani riottosi e più affamati dei già consunti "marconte" e compagnia; il vicinato, infine, è ancor più infido e pericoloso. Traendo ispirazione da un romanzo di Luigi Malerba, il regista Francesco Lagi dirige un'amara commedia in costume, ambientandola in un Medioevo di fantasia ricostruito in alcune location della Ciociaria. Tutti i personaggi, notabili e poveracci, soldati e cortigiani, sono accomunati dalla fame; qualcuno s'accontenterebbe di sopravvivere alla meno peggio, qualcun altro nutre maggiori ambizioni. Berlocchio, dalle umili origini, prende in sposa una donna, figlia di sovrano, la quale gli risulta sgradevole, pur di farsi una posizione; convinto che ... il più sia fatto, forte del diritto riconosciutigli dal re, coadiuvato dai rappresentati del potere temporale (il fedele Belcapo) e spirituale (Frate Cappuccio), raggiunge la terra di Tripalle, scoprendo che si tratta di una landa inospitale. Che il sovrano di Monte Cacchione abbia voluto prendersi gioco di lui ? Il sospetto, corroborato dal nome stesso del titolo nobiliare - "marconte" - che non esiste, trova conferma nei connotati del popolo che l'abita, villici che non hanno neppure gli occhi per piangere e non sono disposti a condividere alcunchè con Berlocchio e la sua corte sgangherata. I piani dell'ambizioso "nobile" falliscono su tutta la linea. Dapprima i popolani gli nascondo i beni; poi, ansioso di riaverli, muove guerra ai ben trincerati vicini, mentre l'infido Frate Cappuccio gl'insidia Bernarda, la quale muore per l'emozione; a ciò reagisce facendo una razzìa nel villaggio di Tripalle; tenta di "comprare" con un lauto pasto il capopopolo dei villici, Migone, il quale muore per l'aver troppo mangiato. Infine, abbandonato dai suoi, tranne Belcapo, attaccato dai popolani e minacciato dall'arrivo del re di Monte Cacchione, non proprio contento per la morte della figlia, non gli rimane altro da fare che fuggire con i soli abiti che porta addosso. Il Medioevo del racconto è un'era di fame, di povertà, di rovina e decadenza. La vegetazione si arrampica su strutture e castelli diroccati, simbolo di antichi fasti, ormai dimenticati; nell'assenza di una forte struttura statale, il potere spirituale oltrepassa i confini della fede e regola le cose terrene. Frate Cappuccio ne fa un uso spregiudicato per migliorare la propria condizione, sedurre la povera Bernarda ed infine salvarsi la pelle. Il suo ruolo è interpretato da Alessandro Gassman, il quale ne ben trasmette l'indole con un'andatura circospetta, gli sguardi in tralice, un costante sputacchiare per esprimere disappunto. Berlocchio è interpretato dall'accigliato Lino Musella; Belcapo, fedele al suo signore sino ad esserne succube, è impersonato da Giorgio Tirabassi. Valerio Mastandrea è Migone, un caporione meno opportunista di altri personaggi e dalle idee troppo progressiste per i tempi. Interessanti i dialoghi; i notabili si esprimono in latino maccheronico, pur non disdegnando la lingua degli umili, una sorta di romanesco con accento "burino". Gradevole la colonna sonora, ricca di motivetti a tema. "Il Pataffio" - l'epitaffio, su un periodo storico e le ambizioni dei suoi "potenti" - è un film pessimista. Miti e leggende dell'epoca (Isotta e Tristano) sono tali per noi, come per i personaggi, senza speranza, di quest'era di fame e sofferenza. Impossibile non pensare alla ricostruzione effettuata in "L'Armata Brancaleone"; i film sono, tuttavia, di caratura molto diversa. Il film di Francesco Lagi, dal ritmo lento, non "punge" tanto quanto l'opera di Mario Monicelli. Tuttavia, non è malvagio. Curato in ogni dettaglio e ben recitato, esprime un punto di vista lucido e condivisibile su un frammento di Medioevo.

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