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Manon

Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film

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La recensione su Manon

di alan smithee
8 stelle

H-G. CLOUZOT

Durante il Secondo conflitto bellico mondiale, a bordo di una imbarcazione che, partita da Marsiglia, trasporta in Palestina un gruppo di ebrei scampati al genocidio nazista, vengono scoperti per caso due clandestini: una coppia giovane, entro cui presto si scopre celarsi, nella figura maschile, un noto assassino ricercato in patria. Il capitano della nave decide di consegnare i due fuggiaschi presso le autorità di Alessandria D’Egitto, ma, nel colloquio, i due finiscono per disporsi a raccontare la loro travagliata vicenda all’uomo. Dopo questo preambolo, il film si apre per un lunghissimo flash-back che si chiuderà solo a pochi minuti dalla fine, durante l’esodo catastrofico dei passeggeri in territorio palestinese.

Robert Desgrieux salva a Clermont-Ferrand la giovane e bella Manon Lescaut da un linciaggio, accusata di aver simpatizzato con i soldati tedeschi, e finisce per innamorarsene: fugge con lei a Parigi, rifugiandosi i due dal fratello Leon, un trafficante losco che convince ben presto la sorella a tendere un tranello al suo giovane amante, ingelosendolo. La ragazza infatti inizierà a flirtare con un ufficiale americano, e Robert, pieno di ira per la gelosia, scoperto che tutto il piano dipende dal fratello in malafede della sua amata, finirà per uccidere Leon, trovandosi costretto alla fuga con la ragazza, ormai tornata da lui.

Alla fine del rocambolesco racconto, il capitano, impietosito dalla storia, lascia che i due giovani fuggano assieme agli ebrei nelle scialuppe che li portano alla terra promessa.

Ma il viaggio in mezzo al deserto si rivela davvero faticoso, ed un attacco di una tribù beduina mortale per quasi tutti i fuggiaschi, Manon compresa. Un abbraccio finale tra Robert ed in corpo inanimato della bella ragazza, sancisce da una parte una nuova possibilità di vita per l’uomo, ma anche la fine di una storia d’amore controversa e piena di ostacoli, fino a poco prima superati nonostante le avversità.

Dall’opera originale datata 1731 “Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut”, settimo libro dell’opera Mémoires et aventures d’un homme de qualité” di Antoine Francois Prévost (ovvero l’abbé Prévost), Henri-Georges Clouzot traspone la sua complessa vicenda storica-spionistica, dai risvolti umani nella storia d’amore contrastata e controversa, e ambientata solo pochi anni prima l’uscita della pellicola, durante le fasi della fuga degli ebrei superstiti dal genocidio in atto.

Clouzot fonde con abilità il noir con un sottofondo di denuncia che getta uno sguardo profondo ed assai drammatico sulla bestialità umana, sia essa rapportata al singolo caso, che rende l’uomo una belva irosa e assetata di vendetta, sia a livello di popolo, nel seguire, seppure in sottofondo, un esodo di massa che passa da un genocidio “istituzionalizzato” ad un massacro proprio nel momento di raggiungere la fatidica e tanto agognata terra promessa.

Ne scaturisce un film tetro, pessimista, violento e anche un po’ ostico, ove nessuno tra i personaggi risulta davvero meritevole di amore e di condiscendenza, né tantomeno di pietà.

Il gran regista non rinuncia a rappresentarci in modo vivo e quasi palpabile l’attrazione tra i due amanti, belli e seducenti (Cécile Aubry e Michel Auclair, mentre il fratello di Manon è interpretato da un laido-quanto-basta Serge Reggiani), ma colpevoli ognuno di un proprio vizio interiore che li rende entrambi sporchi e meritevoli di un supplizio senza fine.

Ottime e complesse le scenografie di sfondo, così come la gestione del lunghissimo flash-back attraverso il quale si dipana oltre ¾ della travagliata e concitata storia del film.

Un finale violento descrive nel dettaglio il risolversi di un massacro non molto differente nei drammatici effetti concreti, a quello del mostruoso genocidio perpetrato dalle forze naziste. E Manon ormai morta, trasportata inanime dal suo disperato compagno solo, tra le dune di un deserto inclemente e senza vita, viene rappresentata da Clouzot con crudi, impietosi e quasi sadici primi piani insistenti sull’espressione di fissità e rigidità degli occhi sbarrati della Aubry. Una scelta coraggiosa, ostica, in anticipo coi tempi, che ritengo possa aver sconcertato il pubblico dell’epoca, pur se avvezzo a violenze reali, frutto delle conseguenze drammatiche e concrete di un contesto storico-politico assai drammatico ancora molto a fior di pelle in quegli anni.

Un Leone d'Oro a Venezia all'epoca, circondato da molte polemiche. 

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