Regia di Baz Luhrmann vedi scheda film
Un grande biopic sul più iconico ed imitato showman di tutti i tempi. Il ritorno in regia di un Baz Luhrmann smagliante come ai tempi di Moulin Rouge.
AL CINEMA - FESTIVAL DI CANNES 75: FUORI CONCORSO
"Siamo due strani bambini soli, io e te."
Quando Baz Luhrmann è in forma, e in Elvis torna ad esserlo come ai tempi di Moulin Rouge, il suo show inizia sotto l'ebbrezza apparentemente fuori controllo e una confusione totale che, da una parte, spiazza lo spettatore, mentre dall'altra lo galvanizza e lo prepara al racconto.
Lo script parte quasi dalla fine, poi torna agli esordi del noto cantante, poi va a ritroso nella giovinezza del bimbo che, spiando da un buco, scopre la meraviglia del ritmo sfrenato e sessualmente eccitante della musica nera. Un ritmo che il giovane fa suo, rielabora e utilizza per la creazione del suo Elvis.
Ma Luhrmann non si limita a questo, perché prima di tutto ciò, la storia di Elvis viene vista attraverso lo sguardo sofferente del micidiale "colonnello", ovvero di quel pingue e fisicamente repellente agente truffaldino e assetato di soldi, oltre che schiavo del vizio del gioco, che condizionò non poco la carriera e la vita del celebre cantante Elvis Presley.
Tom Parker (lo interpreta uno straordinario e mai così ributtante Tom Hanks) per primo è in grado, più di ogni altro, nonostante non ne apprezzi né lo stile, né i modi di muoversi sul palco, di riuscire ad intuire le potenzialità senza precedenti del cantante, riuscendo a lanciarlo col clamore che il cantante merita, e ad assicurargli cachet da capogiro.
Ma quel disonesto manager finisce anche e soprattutto per condizionarne appieno tutto il variegato percorso di carriera, comunque strepitosa e multiforme, che lo vide alternare il mondo della canzone e dei concerti, alla attività d'attore, subito dopo i due anni trascorsi ad espletare gli obblighi della leva militare in Germania.
L'Elvis di Luhrmann trasuda istinti sessuali come un a vera e propria icona tutta curve, muscoli guizzanti e movimenti istintivi ancora più che studiati a tavolino, naturali perché insiti nel cuore del personaggio, nella sua indole che diventa una vocazione suprema.
Un atteggiarsi sul palco che crea scandalo tra i bigotti, ma che provoca anche, in tutti gli spettatori che si lasciano attrarre dal ritmo e dalle movenze, ed in particolar modo tra il pubblico femminile di quei primi anni sessanta puritani e razzisti, fremiti e desideri fino a quel momento repressi dall'etichetta e dal timore riverenziale calcificato nella società benpensante dei bianchi americani, in realtà razzisti e discriminatori per eccellenza.
Luhrmann focalizza primi piani sul volto esterrefatto di ragazze fino a pochi minuti prima timorate e pudiche, che urlano sconcertate per non riuscire più a controllare una libidine che ne deforma i connotati facciali in una smorfia che comunica insieme appagamento troppo a lungo represso, e vergogna per essere giunte a non poterlo più celare.
Poi la carriera della star prosegue, tra alti e bassi (più alti che bassi in realtà), lungo un'America sempre più violenta e spietata in cui gli attentati ai due Kennedy e l'assassinio di Martin Luther King segnano col sangue l'evoluzione di una spirale senza controllo.
Anche il matrimonio di Elvis con la sempre amata Priscilla vacilla, ma senza precipitare mai veramente, ed il cantante si avvia a concludere prematuramente la sua carriera di uomo e divo completamente succube di pasticche e prigioniero di Las Vegas, ove fu costretto ad esibirsi ad opera degli intrallazzi del suo spudorato manager, tra l'altro impossibilitato ad intraprendere viaggi all'estero per problemi di cittadinanza.
Elvis è un vortice che cattura lo spettatore catapultandolo in un percorso di montagne russe che entusiasma non meno di quell'esaltato Moulin Rouge della sfortunata e talentuosa Satine.
La regia caotica ed esaltata di Baz Luhrmann funziona alla perfezione, conferendo al biopic un ritmo forsennato congeniale e pertinente alla celebrazione del fenomeno.
Quanto poi all'interprete, il fino ad ora poco noto Austin Butler, risulta una scelta azzeccatissima: corpo sensuale, labbra carnose e movenze sinuose che si adattano al miracolo dell'Elvis originale, fanno si che la prestazione di Butler risulti memorabile.
Sia Hank, dalla prestazione fondamentale ma misurata al punto da non surclassare o toglier spazio a quella del vero protagonista, che Butler, è già naturale intravederli in un orizzonte da nomination Oscar alla prossima edizione di inizi 2023.
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