Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film
Michéle (Ariane Ascaride) lavora di notte al mercato del pesce. Gli unici scopi della sua vita sono rimasti quelli di salvare la figlia (Julie-Marie Parmentier) dalla droga e accudire la piccolissima nipote di cui non si conosce neanche la conoscenza del padre. Il marito è Claude (Pierre Banderet), che è totalmente assente, da quando ha perso il lavoro è entrato in uno stato di profonda apatia e si è convinto che tutti i suoi guai dipendano dalla presenza degli immigrati. Paul (Jean-Pierre Darroussin) ha abbandonato gli amici portuali che sono in sciopero permanente ed ha utilizzato i soldi della liquidazione per diventare un tassista. I suoi anziani genitori (Jacques Boudet e Pascale Roberts) gli hanno insegnato a cantare l’Internazionale Socialista in quattro lingue diverse ma ora hanno deciso di strappare le loro schede elettorali. Viviane (Christine Brucher) è un insegnante di musica che non sopporta più il velleitarismo politico della sinistra, aspetto questo che fa entrare in crisi il suo raporto col marito (Jacques Pieiller), tipico esponente della borghesia intellettuale cittadina. Abderraman (Alexandre Ogou) è appena uscito di galera, vuole cambiare decisamente vita e aiutare i suoi amici di strada a fare lo stesso. Inizia con lo studiare musica. Gérard (Gérard Meylan) gestisce un bar, vende droga sotto banco e fa “pericolosi” lavori su commissione. Ameline (Véronique Balme) è una bellissima ragazza a cui non dispiace affatto mettere in mostra il proprio corpo e di ricordare agli amici le origini pre-monoteiste dell’umanità. Ognuno di loro avrà modo di intrecciare la propria vita con quella degli altri, di elemosinare un consiglio, carpire un emozione. Ma nessuno è in grado di aiutare chicchessia.
“La ville est tranquille” di Robert Guédiguian è la messinscena scarna e veritiera di un dramma collettivo che si nutre della somma di tanti disagi individuali, un coro di voci distorte che si confondono nei disordini di sistema del mondo contemporaneo. La città tranquilla del titolo è Marsiglia, rubata alla sua bellezza per poter essere rappresentata nei sui aspetti meno accattivanti e più marginali, quelli comuni ad ogni città di porto, ad ogni grande città del mondo. Una Marsiglia adagiata quieta lungo il suo mare, intenta ad assorbire senza eccessivi scossoni i patemi d’animo che affliggono i suoi abitanti, a cui sembra non poter offrire niente di concreto, ne lo slancio per accelerarne gli sviluppi distorsivi ne tantomeno l’occasione per uscirne vivificati. Robert Guédiguian, insomma, ne fa la protagonista inerme di questa storia corale, lo spazio emblematico entro cui rappresentare quel problema che va facendosi sempre più generale che si chiama male di vivere. Fa entrare in continua rotta di collisione le delusioni, le paure, le speranze di ognuno, sentimenti che hanno nella matrice pubblica delle rispettive pulsioni private il tratto costante che li accomuna. Ciò che emerge evidente in questo film è il tratto politico che l’autore francese ha voluto attribuirgli, ma non nel senso che si tratta di un film, come si suon dire, “mlitante”, volto cioè a rappresentare dei fatti per giungere all’enunciazione evidente di una tesi, ma perché i disordini esistenziali dei suoi protagonisti affondano le proprie radici in una forma più generale di disorientamento che è di ordine politico e sociale insieme. Tanto la disillusione acuta dei militanti della sinistra quanto la deriva reazionaria di stampo xenofobo dei “nuovi” simpatizzanti dell’estrema destra, sia gli sforzi immani con cui si cerca di porre rimedio ai propri errori e a quelli degli altri che il modo estremamente facile con cui ci si lascia trasportare dallo stato emotivo del momento, sono il frutto evidente di una perdita di coordinate etiche solide e durature, tale da generare una palpabile atmosfera di confusione, di scoramento per delle aspettative rimaste inevase, di delusione per un passato ancora recente e scarsa fiducia per il prossimo futuro. “La ville est tranquille” è un film cupo, estremamente disincantato, un puzzle umano coscientemente sconsolato. L’unico a cui Robert Guédiguian concede un barlume di speranza per un domani migliore è il giovane Sarkis, che aspetta fiducioso il suo amato pianoforte a coda. Buon film.
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