Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film
Parafrasando il generale von Clausewitz, direi che per Guédiguian il cinema non è che la prosecuzione della politica con altri mezzi. È evidente in questo film (l'unico del regista marsigliese che, per ora, ho visto) l'impegno politico, che prende le mosse da una situazione economica e quindi lavorativa e quindi sociale quanto meno precaria. Da questa, deriva la distruzione dei rapporti umani che si riverberano in ogni aspetto del vivere sociale, dalla famiglia all'ambiente lavorativo, dove non esistono più le vecchie relazioni sindacali ed anche il figlio di un vecchio marxista (il giovane conosce l'Internazionale in quattro lingue) tradisce i colleghi portuali in lotta, si mette in proprio e finisce a fare il tassista abusivo. La politica di sinistra non fa più presa né sulle classi borghesi ed intellettuali (ridotte alla chiacchiera impotente) né su quelle proletarie, sedotte, caso mai, dalle idee xenofobe e razziste di qualche epigono di Le Pen. Detto questo, mi sembra che il film prema troppo il pedale del tragico, si serva di qualche dialogo banalotto e metta in scena un po' troppe armi da fuoco: il gesto finale del barista non sembra adeguatamente motivato. L'affresco di Guédiguian parte da premesse indiscutibili, ma non funziona in tutti i suoi elementi.
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