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Il diario di Anna Frank

Regia di George Stevens vedi scheda film

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La recensione su Il diario di Anna Frank

di Baliverna
8 stelle

Due famiglie di ebrei di Amsterdam si rintanano in una soffitta per sfuggire ai rastrellamenti. La coabitazione è difficilissima, e la speranza è un lucignolo fumigante.

Diciamocelo, girare un film di due ore e cinquanta tutto in una soffitta e farlo funzionare era un'impresa di cui pochi sarebbero capaci. George Stevens ha fatto questa scommessa e possiamo dire che l'ha vinta, nonostante qualche imperfezione.
La triste storia di Anna Frank e della sua famiglia viene leggermene rielaborata, ma la sostanza e lo spirito del famosissimo diario rimangono intatti. La tragedia della guerra e della persecuzione agli ebrei - oltre che essere il presupposto della situazione stessa - compaiono a tratti con maggior chiarezza e con notevole efficacia. Penso soprattutto dai dialoghi, dove si parla di ciò che sta succedendo fuori, o alle continue sirene delle camionette che portano via gli ebrei scovati ed arrestati. Insomma, io non parlerei di edulcorazione del dramma; se mai di squarci di dramma come "pars pro toto".
La sceneggiatura cuce assieme tanti piccoli momenti di vita quotidiana, dove le due famiglie sono costrette a vivere in spazi piccoli e condizioni di forte disagio, che infatti generano od esasperano conflitti che prima erano minimi. Assistiamo a dialoghi, liti, improvvise esplosioni di rancore represso, momenti di amore, di disperazione, e di fallace gioia. Il regista costruisce bene questo microcosmo di costrizione, e conduce dialoghi e situazioni in modo tale da non risultare noioso. Alcune smagliature le ho riscontrate nell'ultima parte, dove forse qualche scena andava eliminata o tagliata prima. Tuttavia per almeno tre quarti il dramma vive di ottima vita, e l'episodio dell'ispezione dell'ufficio da parte dei soldati è un momento di grande suspense, dove si vede la mano sapiente del regista. Questa la vediamo anche nella sequenza del lugubre incubo di Anna, dove vede i reclusi del campo di concentramento che odeggiano tutti assieme stando in piedi. Grazie a quest'idea e ad una fotografia pallida e sgranata l'immagine riesce a comunicare orrore anche allo spettatore.
Anche i personaggi sono egregiamente rappresentati nella loro psicologia e carattere. In generale possiamo osservare come la coabitazione di due famiglie dia luogo a continui attriti, cosa non rara nella realtà, anche senza la guerra e i rastrellamenti. Inoltre, l'uomo solo che viene ad un certo punto introdotto nel nascondiglio, pur con i suoi modini timidi e la sua apparente remissività, si rivela a poco a poco come elemento perturbatore e seminatore di discordia. Alcune volte sembra che deliberatamente egli getti benzina sul fuoco, quando la situazione è già tesa e minaccia di esplodere in ogni momento. L'attore (non ne so il nome) è molto bravo a dar vita a questo personaggio viscido e profondamente antipatico. Quanto agli altri, la giovane e acerba protagonista se la cava bene, e menzione d'onore per la solita brava Shelley Winters. Anche gli altri, però, fanno bene la loro parte.
Ho visto la versione integrale di quasi tre ore ricostruita negli anni '90. Come dicevo, sarebbe stato opportuno qualche taglio nella seconda parte, ma siamo in presenza di una pellicola riuscita, esempio di un cinema essenziale che oggi non si ha più il coraggio di fare.

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