Regia di George Stevens vedi scheda film
Anna Frank ha lasciato una delle testimonianze più lucide, sofferte, appassionate di sempre: il diario da lei redatto durante le persecuzioni razziali resta ancor’oggi un importante documento di sensibile umanità (e tralasciamo la triste gestazione editoriale con le censure del padre). Portarlo sullo schermo era un rischio: con un’impostazione fondamentalmente teatrale (tratto proprio da una commedia teatrale, in Italia messa in scena da Giorgio De Lullo, la storia si svolge più o meno tutta tra le mura del rifugio delle famiglie ebree), il professionista Stevens riesce a non scadere mai nella scontata banalità della retorica, e in tre ore mai pesanti e senza un minuto di troppo compone una emozionata partitura in onore di chi non ce l’ha fatta. Autorevole, privo di cadute di gusto, è un racconto di una formazione predestinata dal corso degli eventi, fotografato in un bianco/nero di tormentata funzionalità che sottolinea la precarietà delle azioni in un luogo altrettanto precario. Una sequenza da ricordare è senza dubbio lo scambio dei regali a Natale: alla ricerca di un barlume di normalità in un mondo che sembra averla persa, votato all’odio insensato di chi non conosce il significato della parola civiltà. Febbrile e terso, non è esclusa dagli elogi la giovane Millie Perkins, in un ruolo che tante altre attrici avrebbero reso un santino: lei non fa altro che dare una sua personale interpretazione di una ragazza colta nell’orrore.
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