Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
AL CINEMA
C'è ancora spazio per sfruttare la dicotomia nord-sud, che ha permesso decenni orsono di rendere memorabili le gags di molti tra i più noti ed apprezzati "principi" della risata?
In un paese quale il nostro, dove solo le innumerevoli tragiche epopee migratorie dal continente che sta ancora più sotto, per latitudine, al nostro Meridione, hanno permesso di attenuare la innata tendenza a mantenere vivo il confronto tra due indoli e mentalità che l'immaginario comune, ma anche la superficiale arte di generalizzare, ha creato dal dopoguerra a fine millennio, con tutto il folklore ridanciano che ha fortificato e, solo a volte, reso memorabile la commedia italiana?
La risposta ai quesiti, considerati i risultati del prodotto (non possiamo onestamente chiamarlo cinema), è inevitabilmente negativa. Pur con i problemi che la coinvolgono, ora più che mai, l'arte cinematografica è da sempre stata l'ambizione di quasi tutti i comici che la Tv ogni decennio sforna dai suoi programmi.
Molti tra costoro non ce l'hanno fatta e hanno fatto flop; alcuni non sono riusciti granché a sfondare; altri - e conosciamo chi sono - hanno raggiunto col cinema l'apice delle rispettive carriere, trii, duo o singoli quali che si strutturi la formazione che li vede sul palco o in scena.
La tentazione deve esser parsa ghiotta anche per un duo ormai famoso, noto come Pio e Amedeo (che tuttavia proprio non conoscevo per nulla se non di nome, sino ad oggi, non guardando la Tv se non in sporadici appuntamenti ad orari fissi con i notiziari).
Ecco che i due, forti (si fa per dire, ovviamente) del regista che ha portato alle stelle lo Zalone nazionale col almeno tre film campioni d'incasso, si adoperano in una storiella che, al confronto, Benvenuti al Nord o al Sud, parrebbero commedie sofisticate tutta ironia e battute fulminanti nello stile autoriale del caro Woody Allen.
La storia di un'amicizia indivisibile di due bambini e poi ragazzi di un ameno paesino pugliese (le solite fragili cartoline italiane estetizzanti), che invece l'ambizione di uno finisce per interrompere quando quest'ultimo si trasferisce a Milano per mettere a frutto la sua innata capacità di fottere il prossimo, ovvero di fare il gestore di patrimoni finanziari privati, si sviscera dal racconto che parte dal loro re-incontrarsi per dare vita ad una comune con uno scopo assai singolare, ma piuttosto ricercato: quello di disintossicare i meridionali immigrati dal "milanesismo" che li ha corrosi, e resi tristi insoddisfatti, stressati, soggetti ad attacchi di panico incontrollati.
Non è il caso di sdegnarsi più tanto in verità di fronte ad un filmetto del genere: i limiti da prodottino usa e getta sono evidenti e smaccati sin dal poco promettente manifesto.
Si cerca di fare una critica spiritosa sul fenomeno della dipendenza da social e della conseguente superficialità che ne consegue e si traduce in espressioni ricorrenti di apatico entusiasmo (top piuttosto che "adoro"), dando spazio all'unico vero personaggio degno di un perché, rappresentato dal sindaco del paesello Giorgio Colangeli (sempre un grande attore, lui), appassionato latinista e citazionista che, facendo di necessità virtù, accetta suo malgrado di modificare i propri dotti intercalari con quelli volgari della Milano "verticale", ovvero la metropoli con la foresta sui muri a cui manca tuttavia lo spazio per coltivare due foglie di prezzemolo.
Belli ciao non è che l'ennesima trasposizione sul grande schermo della sommaria inconsistenza televisiva che punta unicamente le sue deboli fondamenta su una struttura facile e prevedibile, grazie a format di racconto senza nerbo né struttura, complici di annientare ogni residuo stimolo al racconto e alla novità narrativa.
Nulla di più.... probabilmente anche qualcosa in meno.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta