Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
*** CONTIENE ANTICIPAZIONI *** E' un film con un andamento piuttosto lento e costante, ma venato da una tensione che non apre mai la porticina alla noia, e caratterizzato da un rigore che ricorda un po' Robert Bresson. Nella prima parte ci sono persino alcuni squarci poetici che comunicano una certa serenità, nonostante si senta l'incombere della tragedia.
I personaggi sono sfaccettati e in diversi casi un po' ambigui. Si pensi alla ragazza vittima della violenza: da una parte è un po' viziata, un po' vanitosa, un po' pigra anche nella devozione religiosa; dall'altra è anche innocente, di cuore buono, e soprattutto incredibilmente ingenua. Solo all'ultimo momento, infatti, capisce le intenzioni che hanno su di lei i manigoldi, mentre come minimo dovevano apparirle minacciosi e infidi sin dal primo istante. Suo padre, dal canto suo, ha accenti di ambiguità ancora maggiori: la lucidità e la premeditazione con cui mette in atto la terribile vendetta lasciano quasi senza parole, specie se si pensa alla vita che ha condotto fino a quel giorno e alla sua fede. Tuttavia si vendica con un rituale pagano, evidente retaggio della società precristiana del luogo.
Verso la fine, nei dialoghi, viene anche avanzata una spiegazione soprannaturale sul perché della morte così brutale di un'innocente. La madre della ragazza, infatti, ammette di aver avuto fatto di lei un idolo e di averla amata più di Dio stesso; la tragedia avvenuta sarebbe quindi una specie di castigo divino e di messaggio per lei. La serva di casa poi, tra l'altro dedita alla magia e ai culti pagani, confessa l'invidia per la ragazza che la rodeva dal giorno in cui era rimasta incinta ad opera di un seduttore. Questa stessa invidia la induce a farle un maleficio, e pure a non intervenire quando quella viene violentata. Sul cadavere dell'innocente, infine, c'è spazio per il pentimento di più d'uno, e per la nascita del bene dal male.
E' un film a suo modo suggestivo, limpido, a tratti poetico e a tratti crudo, coinvolgente e su cui meditare per comprendere appieno. Il maestro svedese non sbaglia colpi e non prende cantonate mentre tratta di argomenti delicati e complessi, e rivela, da non credente, una straordinaria capacità di rappresentare la fede e il soprannaturale che si inserisce nel quotidiano. Riesce anche a rappresentare efficacemente il massimo della brutalità, della corruzione e della spietatezza a confronto col massimo dell'innocenza. Come altri di Bergman, credo che vada guardato più di una volta per coglierne tutti gli aspetti.
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