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La fontana della vergine

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su La fontana della vergine

di cantautoredelnulla
8 stelle

Un film essenziale, dove il bianco e nero, la regia e la recitazione sono i tratti dominanti della poetica di Bergman.

Il film comunica la storia attraverso tutti i mezzi a sua disposizione. Mi vengono in mente per esempio le mani: all'inizio quelle di Inger aggrappate alla pertica che tiene aperto un lucernaio sul tetto da dove viene eliminato il fumo del fuoco, mentre lei implora il dio pagano Odino affinché ascolti le sue parole; alla fine le mani di Tore, che lui ha guardato in precedenza con orrore e tremanti dopo il massacro degli assassini della figlia, che innalza al cielo con un gesto sacro per invocare il perdono di Dio promettendo di costruire una chiesa con la calce e i mattoni nel punto in cui la figlia innocente è stata massacrata. E poi, sempre seguendo questo tipo di percorso, ci sono le mani di Karin, unite in preghiera, illuminate da una fotografia che oscura gli aguzzini al suo fianco, comunicandoci insieme alle mani degli assassini stessi che sfiorano con cupidigia ma non toccano il corpo della vergine il sacrificio che presto le sarà richiesto.

Ci sono poi molti simboli che richiamano la cristianità e il paganesimo: il fuoco degli inferi e quello che invoca il dio pagano; il rospo che annuncia un cattivo presagio; tutti gli amuleti dell'anziano pastore che vive alle porte del bosco; la flagellazione del padre per prepararsi alla vendetta; la croce affissa sulla facciata della casa. Non è un caso, il film si trova ambientato esattamente nel periodo a cavallo tra il paganesimo e l'avvento del cristianesimo, le persone si convertono, ma non dimenticano vecchie abitudini e tradizioni, la superstizione regna ancora sovrana.

Altro aspetto bellissimo del film, il confronto tra marito e moglie: lei che si rimprovera di essere stata gelosa del bene che la figlia ha voluto al marito; lui che le fa notare quanto lei sia più indulgente (su questa parola mi sono soffermato: è bellissima, potente, ma nel cinema contemporaneo quale autore avrebbe il coraggio di usarla, di darle tanta forza e passione?) mentre lei, d'altro canto, rimprovera a lui di essere troppo severo. Incredibile immaginare che in un'epoca tanto distante dalla nostra i dubbi dell'uomo siano stati sempre gli stessi.

Infine c'è il finale in cui Tore chiede a Dio dov'è, come può avere permesso il massacro di un'innocente, se si rende conto delle conseguenze che quell'omicidio ha portato. E curioso è che proprio in questo film, che anticipa la trilogia del Silenzio di Dio, Bergman decide di far parlare Dio, il quale risponde all'implorazione di Tore donando una sacra fontana la dove la figlia uccisa poggiava la testa. Un dettaglio di poco conto che Bergman stesso cercherà di emarginare; però resta un simbolo forte, l'acqua è per tutte le religioni simbolo di purezza, di nascita e Tore vede rinascere in quel momento una nuova vita davanti a sé. Il dolore si è trasformato in energia costruttiva, una lezione importante che dona questo cinema all'uomo di tutti i tempi.

Cosa cambierei

Il film soffre di una forma spiccatamente teatrale. Quattro atti, non esplicitati, ma chiari nell'azione: l'invocazione della punizione divina, il martirio, la vendetta, il perdono. Questo schematismo tradisce in qualche modo la fluidità cinematografica del film. Probabilmente attraverso l'uso di flashback o incastrando diversamente la storia di Karin, di Inger e dei pastori il film avrebbe potuto risultare meno schematico.

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