Regia di Nancy Meyers vedi scheda film
Ho sempre avuto parecchi pregiudizi nei confronti di questo film, visione varie volte iniziata nel corso degli anni e mai portata a termine per vari motivi inconsci, quindi irricordabili e inspiegabili. Ma, finalmente, quasi tre lustri dopo l’uscita, complice una prof. di inglese amante delle commedie (che aveva già “colpito”, maldestramente, qui) , ho potuto apprezzarne i numerosi pregi grazie soprattutto ad un elemento che non avevo preso in considerazione prima: il film va assolutamente visto in lingua originale (con sottotitoli parimenti in americano per capire le accozzaglie di sillabe bofonchiate dagli attori tutti [perché la maggior-parte degli attori americani non pronuncia parole, le mangia]). Il doppiaggio italiano, infatti, non riesce a rendere la brillantezza dei dialoghi a dir poco scintillanti del testo originale, a causa forse di difficoltà linguistiche specifiche (per ogni 5 parole in inglese/americano, di media, ne occorrono oltre il doppio per renderne il senso in italiano) che di conseguenza portano ad “adattamenti” in fase di traduzione.
Tenuto conto di questo aspetto, dicevamo, “What women want” è una vera sorpresa. Una commedia brillante che richiama sia la classica “screwball comedy” del periodo d’oro hollywoodiano (anni 40/50), con il palese omaggio a Frank Capra per la svolta fantastica della trama ed il finale consolatorio, che l’opera di maestri quali Billy Wilder e Howard Hawks, rendendo godibilissima la vicenda raccontata.
La quale altro non sarebbe che una (originale) guerra dei sessi con un unico contendente, in pratica: la mente del protagonista Nick Marshall/Mel Gibson, noto misogino e sciupafemmine, che si ritrova improvvisamente capace (quasi) magicamente di leggere le menti delle rappresentanti dell’altro sesso, comprese ex-mogli e figlie. Tale spunto, ottimamente sviluppato, permette di godersi appieno una trama abbastanza lineare nella sua classicità ma realmente divertente in numerose situazioni, quali la notte di sesso con Lola/Marisa Tomei, i duetti silenziosi con Darcy/Helen Hunt o i goffi tentativi del protagonista di liberarsi della “maledizione”. Ulteriore valore aggiunto, infine, l’ottimo lavoro di immedesimazione di tutti i protagonisti, completamente a loro agio nel mood brillante e giocoso della pellicola, soprattutto di un convincente Mel Gibson che non sarà (mai) Cary Grant, James Stewart o Rock Hudson ma in questo frangente gigioneggia piacevolmente come raramente gli capiterà in futuro.
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