Regia di Francesco Sossai vedi scheda film
TFF 39 - FUORI CONCORSO - INCUBATOR
In una società perennemente in crisi, dove il lavoro è considerato un bene prezioso da tenerci stretto ad ogni costo ed acriticamente, e non come un dovere da compiere con scrupolo ed impegno, ma senza divenirne succubi e dipendenti, chi proprio non riesce a riconoscersi in questa categoria di lavoratori che vivono per la loro occupazione, può ritrovarsi insoddisfatto, disamorato, incapace di provare emozioni, oltre che solo e impossibilitato a condividere la propria situazione con qualcuno che possa quantomeno ascoltarlo.
Uno come Ivano ad esempio, che, su insistenza del suo interlocutore, si definisce operaio specializzato, non riesce più a provare emozioni né dal punto di vista lavorativo, costretto da vent'anni alla sua attività metodica e ripetitiva, né nella vita reale, persona solitaria e apparentemente senza coinvolgimenti emotivi in grado di motivarlo.
Tramite rete viene in contatto con Ivan un ricercatore universitario che appare demotivato e desideroso di farla finita con la sua esistenza mediocre e senza apparenti prospettive.
Li vediamo incontrarsi e recarsi nella casa di montagna da tempo inabitata nel bellunese del primo, per mettere a punto un loro piano che mai ci verrà realmente esplicitato, ma che allude certamente al tabù più scioccante che invece il titolo preannuncia.
Il piano che i due condividono, verrebbe incontro alla esigenza determinata del secondo di farla finita, e a quella del primo, alla ricerca di nuove, per quanto atroci, emozioni in grado di fargli tornare la voglia di vivere.
Messi di fronte ai fatti concreti, entrambi gli individui inizieranno, in due fasi diverse, a tentennare, fino ad un epilogo che, scientemente, lascia sullo spettatore più dubbi e perplessità che dati certi.
E' un film cupo, inquietante e notevole, quello del bellunese Francesco Sossai, girato con capitali tedeschi in uno stile quasi documentaristico, forte di una fotografia in uno sporco bianco e nero che rende al meglio la mediocrità di una routine devastante che annienta e spinge verso derive pazzesche.
E la disperazione che si rileva nell'atteggiamento frenetico e nello stesso tempo indeciso, imbarazzato e titubante dei due protagonisti a confronto, ne esprime al meglio il disorientamento e l'incapacità di adattarsi ad un contesto di mediocrità che incoraggia a derive estreme.
Il film ha punte notevoli, come quanto l'operaio dalla lunga chioma ossigenata Fausto cerca di spiegare al suo nuovo amico demotivato e devastato dentro, cosa sia la felicità e quanto poco possa durare nelle sue singole manifestazioni, che tuttavia, qualora esistano, hanno il potere magico di fissarsi nella memoria come pietre miliari indelebili ed indistruttibili: il suo ricordo sui mondiali trionfali del 1982, è un racconto che diventa sempre più toccante e narrativamente straordinario.
Un film-sorpresa agghiacciante come la locandina davvero inquietante che lo accompagna, stordente già dalla semplice rappresentazione di un paesaggio di periferia e pedemontano che non trasmette mai alcuna emozione se non un senso di mediocrità dilagante attorno ad un contesto umano ripiegato in se stesso.
Circostanze utili ed ideali per rappresentare al meglio l'incubo di una vita grigia, o comunque incolore, ove tutto appare mediocre, instabile, senza un vero futuro - familiare o nei rapporti tra esseri umani - che non sia legato ad una inerzia contagiosa ove si sacrificano emozioni ed ambizioni, interessi e motivazioni, fino a ritrovarsi ad un passo da un burrone senza ritorno, oltre che senza limiti.
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