Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
Comincia (allenianamente) con la voce off del protagonista Stefano Accorsi che descrive la sua prima vera crisi di coppia, solo quella centrale di una serie di altre crisi (di crescita, invecchiamento, responsabilità, noia, libertà) che sconvolgono equamente, a volte in silenzio a volte con fragore, la vita di altre coppie, di coetanei (trentenni) o di genitori. “L’ultimo bacio” (ultimo di tanti: a padri che muoiono e amanti ritrovati per un attimo, a compagne che se ne vanno o ritornano e a innamorate di una notte) è un affresco dei sentimenti, oggi, qui. Sospeso sul filo della commedia, non affonda mai nella tragedia (neppure nel brano - forse il migliore - della morte del padre, che rievoca “Magnolia”). Gabriele Muccino ha l’ansia di “sistemare” tutti: chi resta (agganciato dalla responsabilità di una figlia in arrivo e dall’amore di una donna) e chi parte su un pulmino verso il deserto africano. La frase più sintomatica di una sceneggiatura scritta (per la media italiana) piuttosto bene è: «La normalità è la vera rivoluzione». Forse è vero, ma forse andrebbe un po’ approfondito. Il problema è duplice: Muccino è molto bravo, forse troppo, e lo sa; perciò non si ferma mai (con la macchina da presa, instancabile, con la musica, onnipresente, con la storia, infinita - nel senso che ha molteplici finali), si esibisce, vuol piacere. Ma (e questo è il secondo problema), vuol piacere tanto che finisce per restare sulla superficie volatile delle cose, delle facce, dei sentimenti, dei rapporti.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta