Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Un mondo di marionette è uno dei film più tragici di Ingmar Bergman, una di quelle pellicole che permette al regista di mettere in luce le varie sfaccettature del suo pessimismo.
La storia ruota intorno alla figura di Peter Egerman, affermato uomo d’affari dalla vita privata in apparenza ordinaria e in realtà profondamente tormentata. Figlio di una nota attrice, sposato ormai da dieci anni con Katarina, egli è ossessionato dall’idea di uccidere sua moglie. Alla fine, in preda a un raptus di follia, assassina una prostituta che di sua moglie porta solo il nome.
Il film mette in evidenza la complessità dei rapporti umani, mai privi di ipocrisia e di ambiguità. Una complessità che diviene ancora più marcata nel perimetro delle relazioni sentimentali tra uomo e donna. Peter si confida con il suo psichiatra, che pretende di aiutarlo pur essendo in realtà l’amante della moglie. A sua volta Katarina si confida con Tim, omosessuale, collega ed amico, proprio colui che, in preda a incongrui sentimenti, presenterà la prostituta a suo marito. Peter e Tim sono i poli complementari della storia. Peter esprime l’impossibilità di svincolarsi dalle sue ossessioni, dalle sue paure, con la frase ‘tutte le strade sono chiuse’ più volte ripetuta. Tim si trova a lottare quotidianamente contro lo spettro della vecchiaia e della solitudine. La sua condizione di omosessuale lo isola dal mondo esterno, non gli permette di costruire dei legami affettivi duraturi, e si trova senza appiglio contro le forze che dominano gli uomini per consegnarli infine a una morte castigatrice.
Il film di Bergman si presenta come una profonda riflessione sulla natura della libertà di ognuno. Ma anche l’assassinio compiuto sembra negare la possibilità da parte degli esseri umani di recidere i fili invisibili che li manovrano.
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