Regia di Christian Tafdrup vedi scheda film
Durante una favolosa vacanza in Toscana, Bjørn e Louise insieme alla piccola Agnes fanno la conoscenza di Patrick, Karin e del piccolo Abel. Bjørn e Louise tornati in Danimarca, qualche mese dopo, ricevono dalla famiglia olandese l’invito di raggiungerli per un weekend. Inizialmente titubanti Bjørn e Louise si lasciano convincere dalla prospettiva di un viaggio e dalla possibilità di rivedere quella famiglia tanto garbata. Dopotutto cosa potrà mai andare storto?
Tutto diremo. Il film di Christian Tafdrup è ansiogeno fin da subito o almeno fin da quando Bjørn, Louise e Agnes raggiungono la casa isolata nella sconosciuta campagna olandese, ospitati da tre sconosciuti che si riveleranno molto più strani di quanto non siano potuti apparire nella sommaria conoscenza vacanziera.
Tafdrup gioca magistralmente con i toni della fotografia e se la vacanza in Toscana è ricca di colori, suoni e profumi ovviamente impercettibili ma che ti sembra quasi di sentire (mi ha fatto venire voglia di tornare in Toscana) il weekend in olanda è costellato di tinte cupe, colori opachi e una tensione palpabile che lascia lo spettatore con il fiato sospeso, mentre nella testa continui a ripetere: “Andate via da quella casa, ora che ancora potete”. Forse.
Il grande punto di forza, che è poi anche quello di attrattiva, di questa pellicola sta proprio nel non mostrare mai, effettivamente, nulla di compromettente. Patrick e Karin sono apparentemente una coppia normalissima che semplicemente vive la loro relazione e la loro esistenza in modo nettamente diverso da Bjørn e Louise. Se i secondi sono precisi, affettuosi e composti, i primi sembrano spontanei, molto poco attenti alle “buone maniere” e poco affettivi nei confronti del piccolo e introverso Abel.
E tutto il film, gran parte della sua durata, si basa pressappoco su queste differenze. Sul fastidio di Louise in merito ad alcuni atteggiamenti di Patrick o piuttosto sul sospetto che abbia fatto cose (tipo entrare in bagno mentre lei si sta facendo la doccia) che però non ci vengono mai effettivamente mostrate. Lo spettatore segue gli eventi dal punto di vista della famiglia danese che, ad un certo punto, inizia anche ad infastidire con quel loro modo da perbenisti che sembrano incapaci di accettare le diversità altrui.
Ma poi accade qualcosa. E quel qualcosa che accade si svolge negli ultimi minuti del film ed è così potente, così violento e assurdo che anche quando scorrono i titoli di coda ci metti un po’ a riprenderti da quello che hai visto; e ci ripensi per giorni, per settimane. La potenza della pellicola sta proprio nel riuscire a farti credere che Bjørn e Louise non sono altro che dei cacacazzi (scusate il francesismo) per poi invece dimostrarti che le loro non erano solo paranoie ma comprovato e reale disagio.
Un finale che ti colpisce come un pugno allo stomaco dove tutto e collocato alla perfezione: le musiche, le inquadrature e il ritmo serrato. Una gradita sorpresa. Se non lo avete ancora visto, fatelo!
P.S. Ho letto recensioni in cui si addita l’ingenuità dei protagonisti. Io la chiamerei piuttosto incredulità. Quanto siamo disposti a credere che il nostro vicino, un nostro amico o anche un conoscente, come in questo caso, possa avere ancorato dentro di sé il male assoluto? O provato ad immedesimarmi nei protagonisti e mi sono detta che probabilmente avrei lasciato la casa al primo accenno di disagio (perché io sono fatta così, non riesco a stare, men che meno a dormire in un posto in cui non mi sento a mio agio) ma al contempo non sono riuscita a puntare il dito contro i protagonisti; dopotutto provano a mettersi in gioco, a lasciar andare la ritrosia, ad aprire la mente. Provano a fidarsi, ad andare oltre le loro barriere. Eppure, il loro istinto, gli dava ragione.
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