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Speak No Evil

Regia di Christian Tafdrup vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Speak No Evil

di mck
6 stelle

Parteggiar per gli umani mostri.

 

 

Tu vuo’ fa’ ‘o Haneké, o: dell’estinto istinto di sopravvivenza.

- Noi danesi siamo stati sommersi per metà dall’ultima glaciazione, quella del Würm, mentre voi nederlandesi ancora manco esistevate!
- Ma che c’entra questo mo’? Perché ce lo state a di’?
- Perché ce lo state lasciando fare! (E taleggio, gorgonzola, fontina, mozzarella e Puzzone di Moena uber alles!)

A ben vedere, forse la cosa che hanno più in comune danesi e olandesi è l’inglese.

L’olandesaccio usa uno dei Madrigali Guerrieri ed Amorosi di Claudio Monteverdi e Ottavio Rinuccini (la seconda parte - Amor, dicea - del Lamento della Ninfa, quello della donzella che “fuora del proprio albergo uscì”, riarrangiato per l’occasione in due versioni da Sune "Køter" Kølster ed eseguito dal soprano Maria Kaczorowska) come toscana pastura ed ecco che un danesino (a latere: quanto cazzo ci vuole per superare pag. 50 dell’Open di Andre Agassi?) abbocca commosso sputando una lacrima, ed è fatta.

- Perché ci state facendo questo?
- Perché ce lo avete lasciato fare.

 

Ecco la Toscana (Italia).

 

 

Ed ecco l'Olanda (Paesi Bassi).

 

 

Paura, eh?

 

Opera terza nel lungometraggio, dopo “Forældre” (“Parents”) e “En Frygtelig Kvinde” (“A Terrible Woman”), del danese Christian Tafdrup, classe 1978, attore in “Daisy Diamond”, “ForbryDelsen” e “Borgen”, questo “Gæsterne” (“Ospiti”), scritto col fratello Mads e distribuito con l’anglo-titolo internazionale di - a proposito di aglossia congenita - “Speak No Evil”, s’inserisce sull’onda lunga dello slasher francese degli anni zero [“Haute Tension”, “Calvaire”, “Ils”, “Frontière(s)”, “À l’Intérieur”, “Martyrs”] emendandolo da ogni “slash”…

-[il buon cast, composto da Morten Burian e Sidsel Siem Koch per la parte danese e da Fedja van Huêt e Karina Smulders per quella olandese, ben diretto dal regista con una buona impostazione delle inquadrature e dei movimenti di macchina (fotografia di Erik Molberg Hansen, montaggio di Nicolaj Monberg e musiche del già citato Sune "Køter" Kølster), mette in scena il copione costruendo un’insopportabile - quasi sempre non nel senso buono - tensione/suspense grazie alla progressiva stratificazione di un gorgo di violenza psicologica e non fisica]-

…ed innestandolo di armonie, melodie, ritmiche ed orchestrazioni à la Haneke.

 


Il “messaggio etico-morale” vorrebbe risiedere nella rappresentazione “satiricamente” cerchiobottista dell’arrendevolezza (“Babadook”) con cui la famiglia della media borghesia (panni riconoscibili che tutti possono empaticamente indossare) rinuncia alla lotta per la sopravvivenza contro il disoccupato cronico (che non brandisce armi da fuoco o da taglio, ma solo pugni) e consorte teutonica in combutta con gl’immigrati. (Per un remake italiano si propenderebbe più per uno scontro italo-sloveno/croato o italo-francese?)

A parte questo, e prescindendo pure dalla sospensione dell’incredulità che non interviene anche per via del fatto che le famiglie scomparse nel giro di massimo tre lustri sono almeno una cinquantina e nessuna di queste sparizioni ha attirato sospetti o indagini in quella zona letteralmente depressa, il film tutto sommato è “gradevole” (le virgolette sono date dal tema, non dall’insincerità dell’affermazione), al netto del fastidio diffuso dovuto al fatto che spesso in opere sostanzialmente malriuscite come queste si finisce per parteggiare per gli umani “mostri”, e che la taglino corta. 

 

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**¾ - *** (5.75)  

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