Regia di Ali Abbasi vedi scheda film
Il film si ispira all’inchiesta, condotta da una giornalista di Teheran nei primi mesi del 2001 a Mashad, in seguito all’allarme suscitato nell’opinione pubblica iraniana per gli omicidi seriali di uno psicopatico, che attirando le prostitute in una trappola ben congegnata, le uccideva, dopo averle torturate, strangolandole.
Rahimi (Zahra Amir Ebrahimi) – la coraggiosa giornalista che aveva voluto capire cosa stesse succedendo nell’antica capitale iraniana molto visitata dai turisti – era arrivata a Mashad e, sistematasi in un minuscolo alloggio, si era messa a contatto con la polizia locale, di cui un po’ diffidava, non ritenendola del tutto estranea alla ragnatela del Ragno sacro (questa era la “firma” dello psicopatico assassino).
Aveva conosciuto dapprima il giovane Sharifi (Arash Ashtiani) – un po’ detective, un po’ giornalista – quindi il capo della polizia locale: da loro le erano arrivate le prime reticenti e sommarie informazioni…
Raimi era decisa a condurre personalmente le indagini, non fidandosi né delle verità ufficiali dei poliziotti, attenti a coprire le proprie inefficienze, né di quelle “televisive”, che, per tranquillizzare soprattutto i turisti occidentali, fornivano informazioni inutili, puntualmente smentite dai fatti.
Il maniaco, infatti, continuava indisturbato a uccidere crudelmente le disgraziate donne, colte di notte, ai bordi della strada, in cerca di clienti.
La giornalista era riuscita, infine, non solo a comprendere in che modo agisse il maniaco, quali ne fossero le abitudini, ma chi fosse e, d’accordo con Sharifi, che le avrebbe fornito il decisivo supporto “tecnologico” per ridurre al minimo il rischio, aveva deciso di tendergli la trappola che l’avrebbe catturato…
Saeed (Mehdi Bajestani) era il nome dell’assassino: uomo all’apparenza irreprensibile, tutto casa e famiglia (con moglie devota e figli ubbidienti e sottomessi - da non perdere l'ultima scena del film -) e fama di eroe: fra i suoi amici gli ex commilitoni dell’associazione che teneva vivo il ricordo della gloria seguita alla vittoria contro Saddam.
Come lui, i suoi antichi compagni d’armi sostenevano l’insegnamento religioso e morale degli Ayatollah eredi dei Komeinisti, al governo del paese dal 1978.
Il film si lascia seguire col fiato sospeso, e con un sentimento misto di compassione e di orrore: il regista Ali Abbasi non nasconde ai nostri occhi gli effetti agghiaccianti dell’efferatezza del “Ragno” assassino, che non solo procedeva con maniacale ripetitività nel delitto, ma si eccitava alla vista del sangue e della sofferenza delle donne, convinto di dover ripulire le strade di Mashad dalla feccia delle prostitute, spesso vecchie, talvolta drogate, le cui urla disperate soffocava in corso d’opera, ottenendo, infine, il plauso non troppo nascosto di un’opinione pubblica indifferente per ignoranza e per opportunismo, nonché per la crescente complicità degli ambienti della polizia e dei borghesi, che avrebbero voluto catturarlo, ma renderlo presto nuovamente libero.
Ali Abbasi, il regista e co-sceneggiatore di questa straordinaria pellicola di 117 minuti, è ora un cittadino danese, che ha potuto realizzarla – in Giordania nel 2022 – grazie ai capitali di produttori europei (francesi, tedeschi, svedesi e danesi), mettendo a frutto sia la cultura cinematografica della tradizione iraniana, sia le conoscenze profonde del cinema noir occidentale.
Si è parlato – a questo proposito – di Hitchcock, di DePalma, di Kubrick, ma non è difficile individuare anche altre citazioni, sempre molto pertinenti.
Presentato con successo a Cannes nel 2022, il film ha messo in luce l'eccezionale qualità dell'interpretazione di Zahra Amir Ebrahimi, conferendole la Palma d'oro.
Mehdi Bajestani, è candidato all'Oscar, che sicuramente meriterebbe per aver reso plausibile il difficile personaggio di un assassino banale e ipocrita; insospettabile e ripugnante.
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