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Dopo la prova

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Dopo la prova

di logos
8 stelle

Personalmente ritengo che Dopo la prova sia una delle opere più difficili da comprendere, per la sua densità di significati e rimandi, e anche per la complessità della tematica e per il modo in cui è presentata.

 

In linea generale si tratta del rapporto tra arte e vita, ma entrando nello specifico tale rapporto si esplicita via via in altri rapporti: il rapporto tra teatro e cinema, tra regista e attore, tra amore e solitudine, tra il senso dell’esistenza e la temporalità con tutta la riflessione circa un vissuto oramai verso il termine, quale sorta di autoconfessione artistica dello stesso regista (qui interpretato nel personaggio di Henrik Vogler a sua volta interpretato da Erland Josephson)  e il tutto ripreso all’interno dello spazio scenico del teatro dopo una prova del Sogno, come a dire che è comunque in questo spazio che i rapporti suddetti con le loro problematiche possono essere rappresentati nella loro essenzialità, a prescindere che le figure che compaiono siano esistenze vive o passate, perché comunque esistenze intrappolate nella loro identità, che in quanto tale non può’ non manifestarsi, ma che manifestandosi diventa finzione, e dunque, ancora una volta, adatta alla scena, ossia la scena in quanto tale della rappresentazione, di cui il regista è a un tempo il demiurgo ma anche la vittima sacrificale, perché l’opera non è solo una rappresentazione orchestrata dal regista (non è un caso che il regista si chiami Vogler come l'illusionista de Il volto) ma anche una realtà vivente con una propria sintassi, che finisce per svuotare il regista, lasciandolo nel suo smarrimento esistenziale, in cui realtà e sogno si confondono, come dice lo stesso regista Vogler: "Alla mia età succede che uno si chini in avanti e si ritrovi improvvisamente con la testa sprofondata in un'altra realtà dove i morti non sono più tali e i vivi appaiono come tanti spettri. Ciò che un momento prima sembrava chiaro diventa bizzarro e del tutto incomprensibile. Ascolta il silenzio di questo palcoscenico, quanta energia spirituale vi è racchiusa".

Eppure tutto questo rimescolio della coscienza esisenziale nella sua artisticità non può fare a meno di uno spiraglio che in qualche modo la liberi dall'illusionismo del gioco tra finzione e la realtà, che in qualche modo la rigetti nel mondo della vita se non altro per ascoltare quelle campane della chiesa che a quanto pare, ormai, "non si sentono più".

 

Opera struggente, maliconica, autobiografica, di autocritica esistenziale, intrisa di un'umanità subilme che ricerca il senso scandagliando in un linguaggio intricatissimo le vie di resa e fuga nell'invisibile...

 

 

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