Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
La morte trova giustificazione in Dio oppure, al contrario, è la consapevolezza della morte a suggerire il rifugio nella fede? Il film propone una visione laica della religiosità, secondo cui la vita ultraterrena è un sogno necessario per l'uomo intellettualmente incline alla trascendenza, ma è un pensiero inutile per l'uomo istintuale, per il quale il piacere dei sensi trova la sua naturale sublimazione nella fatua dimensione della fantasia e della creazione artistica. Per lui la radice del bene e del male risiede per intero nell'amore umano, nella sua fisicità come nel suo lato sentimentale. L'inferno non è che un'immagine pittoresca e paradigmatica dell'orrore, che solo esigenze politiche e morali hanno trasformato in una proiezione della colpa e una minaccia da esorcizzare. La serenità del guitto deriva dell'improvvisazione applicata all'esistenza, dal totale rifiuto di ogni pianificazione, di ogni regola o disegno preassegnato. La partita a scacchi del cavaliere è, per contro, uno strategico confronto col destino; è l'impegno vòlto a conferire ad ogni passo, e persino all'uscita stessa dalla vita, un senso coscientemente costruito. L'impresa di Antonius nasce dalla convinzione che la morte non sia un salto nel nulla, bensì un'esperienza limite, un passaggio da affrontare col lucido intento di conoscere. Il protagonista respinge l'idea che possa trattarsi di un evento incomprensibile e non negoziabile, improvviso e punitivo, e anticipato dal terrore, dalla sofferenza e dalla disperazione. Se infatti la morte, di per sé, non è cattiva, è la percezione del suo approssimarsi a gettare un'ombra sinistra sulla nostra vita. L'incubo che prelude al suo arrivo è la versione terrena delle visioni dell'Apocalisse; è una nube terrificante e nera, da cui un fulmine sta per schiantarsi al suolo, interrompendo ogni residuo d'illusione.
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