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Ti mangio il cuore

Regia di Pippo Mezzapesa vedi scheda film

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La recensione su Ti mangio il cuore

di Furetto60
7 stelle

Buon lavoro del giovane regista Mezzapesa. Ispirato ad una storia vera, coriaceo ma efficace.

Nell’incipit, un primo piano di una statuetta della Madonna. Fuori campo grida e colpi d’arma da fuoco. Siamo in Puglia, nel promontorio del Gargano nel 1961, la famiglia mafiosa dei Camporeale stermina uno ad uno,tutti i membri della rivale famiglia dei Malatesta, sopravvive solo il piccolo Michele, che nel corso degli anni a venire, si prenderà la sua vendetta, trucidando molti della cosca rivale; dopo più di quarant’anni, per quanto  i Camporeale siano stati ridimensionati da questa  falcidia, i sopravvissuti  ancora hanno un certo peso criminale, mentre il loro capo Santo è latitante in una grotta sperduta; tra le due casate, appartenenti alla cosiddetta  Quarta Mafia , malgrado l’antica acredine, vige adesso una fragile tregua, grazie all’opera di mediazione della potente famiglia Montanari, capeggiata dal decano Vincenzo, un Michele Placido sempre in parte; tuttavia il patto  è destinato a rompersi, allorquando uno dei figli del patriarca dei Malatesta, Andrea l’erede, s’innamora ricambiato di Marilena, bellissima moglie del boss Santo Camporeale. Michele, che è il primo a sgamarli, prova a dissuadere il figlio dal proseguire questa relazione proibita e pericolosa, ma ormai i due sono travolti da questa insana passione, impossibile da frenare, che travalica qualsiasi buon senso: i due scappano assieme e tornano poco dopo con Marilena incinta di un nuovo figlio; lei  trova rifugio, si fa per dire, nella famiglia di lui; Vincenzo Montanari prova ad intercedere diplomaticamente, suggerendo un “ristoro” ma per quanto “onorato” evidentemente non basta, perché Michele viene barbaramente ucciso e questo è solo il primo atto della ripresa delle ostilità; cosi  riesplode con i botti, l’antica faida tra le due famiglie, che trascinerà quasi  tutti in una spirale di orrore, violenza e morte. La maggior parte delle scene sono state girate in campagna, tra le stalle, le mucche, le pecore. Il bianco e nero  abbacinante  e totalizzante di Michele D’Attanasio è funzionale a creare una dimensione cupa e lercia, l’atmosfera è greve, i protagonisti si muovono su di uno sfondo lugubre, la miseria che incombe è materiale, ma soprattutto umana, si parla poco, si uccide tanto; i sicari che sguazzano in mezzo al fango insieme alle bestie, sugellano gli omicidi sparando al volto, massimo dello sfregio, deturpare le sembianze significa cassarne anche la futura memoria. C’è chi arriva a leccare il sangue delle vittime e chi dà i cadaveri in pasto ai porci. I due amanti di questa storia passano dalle timide sbirciatine nei camerini di un negozio di abiti,  ai focosi amplessi in mezzo alle saline, dalle processioni per le vie del paese, ai balli di gruppo in un ristorante. Mezzapesa sperimenta con coraggio e una discreta efficacia, un cocktail di generi, mescolando  il “gangster-movie” a situazioni da western e incorniciando la vicenda nel binomio eros/thanatos, che da Romeo e Giulietta in poi, declinata in svariate salse, è un “evergreen”. L’intero “tourbillon”  di omicidi cruenti, si regge in sostanza sulla metamorfosi in stile  “Michael Corleone” di Coppoliana memoria, del personaggio di Andrea Malatesta: prima appare come un ragazzo mite e schivo, poi però, anche istigato dalla feroce madre, diventa una belva assetata di sangue, spietato assassino smanioso di eliminare ogni membro della famiglia rivale, non ha più alcun riguardo nemmeno verso la sua compagna; Marilena, la bravissima Elodie, al suo esordio, è una figura tragica in toto, non compare mai serenità sul suo volto, segnato prima da insana passione, poi solcato da dolore e disperazione, prigioniera più che ospite sgradita, ma mai rassegnata. Calandosi  nel mondo della malavita Garganica, per meglio realizzare questo prodotto cinematografico, il giovane ma già abile regista Mezzapesa si è imbattuto nella figura di Rosa Di Fiore, la prima collaboratrice di giustizia appartenente alla cosiddetta quarta mafia quella Foggiana, raccontata nel romanzo-inchiesta omonimo di Giuliano Foschini e Carlo Bonini, da cui il film è liberamente tratto;nel territorio che si estende dal Gargano a San Severo, da Manfredonia fino a Cerignola, questa malavita spadroneggia, imponendo i suoi codici e le sue regole arcaiche, si nasce, si cresce e si muore nel mito della vendetta a tutti i costi e sangue chiama sangue, cosi questa catena di morte non si interrompe mai e va avanti inesorabile, avvelenando tutte le generazioni, che si susseguono nel tempo. Una mattanza che ha fatto decine di morti, di cui fino al libro-denuncia si sapeva veramente poco. Film tosto, ma efficace.

 

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