Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Il dramma agrodolce di Sabine che dopo essere passata, a suo dire, da un eccesso all’altro, si fa scudo di un autoreferenziale moralismo e prende atto di un possibile “Bel matrimonio” esente da rapporti prematrimoniali, costituisce un tipico esempio di cinema rohmeriano lieve come i sentimenti dei suoi protagonisti. L’opera è percorsa dall’autoriale effluvio di una verbosità che scorre via con la leggerezza di un ruscello a primavera, a somiglianza di un flusso di coscienza distante comunque anni luce da quello joyciano e che puntualmente si trasforma in parole, frasi, concetti di notevole eleganza formale tale da costituire un vero e proprio godimento interiore per gli spettatori in sintonia con le tematiche dell’autore. Degno di considerazione è inoltre il fatto che Rohmer scelga per le sue storie degli interpreti dall’aspetto rassicurante, più simili ai nostri vicini di casa piuttosto che a collaudati stereotipi hollywoodiani. Personaggi ad esempio come Sabine, sempre in continuo antagonismo con un capzioso destino riluttante a farsi ingabbiare dalla sterile arma di una verbosità fine a sé stessa talvolta frapposta nei confronti del reale alla stregua di tenace una barriera difensiva, precludendo in tal modo la possibilità di fruttuosi rapporti umani. Film dei buoni sentimenti può essere comunque definito questo “Bel matrimonio”, secondo episodio della serie “commedie e proverbi”, meno cerebrale rispetto alla media dei “racconti morali” e maggiormente inserito in una confortante dimensione di quotidianità. Nel seguire passo passo le (melo)drammatiche vicissitudini di Sabine, eroina del vivere giornaliero”, alter ego del fallimentare esemplare maschile protagonista del precedente episodio (”la moglie dell’aviatore”) è inevitabile accennare qualche sorriso di circostanza da parte nostra. Oppure, a seconda dello stato d’animo del momento, tifare apertamente come segno di solidarietà a favore di un ipotetico raggiungimento del traguardo di “un bel matrimonio” che lungi dal costituire una questione di vita o di morte assume piuttosto la valenza di un capriccio passeggero, simile a quello di tanti politici viziati che strepitano e pestano i piedi per terra onde ottenere qualche inutile medaglia di cartone o qualche attestato di benemerenza a scopo elettorale da porre poi nel dimenticatoio in caso d’insuccesso. Scopriamo comunque al termine del film che la vita continua imperturbabile e plaudiamo ancora una volta a quel pizzico di filosofia rohmeriana sempre pronta a rammentarci dell’esistenza di un lato positivo in tutte le asperità della vita.
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