Regia di Karel Reisz vedi scheda film
Uno dei capostipiti del free cinema britannico, diretto discendente del teatro e della letteratura dei "giovani arrabbiati" (è infatti tratto da un romanzo di Alan Sillitoe). Più di tutto conta l'ambientazione proletaria, che tornerà nell'altrettanto fondamentale "Io sono un campione" di Lindsay Anderson, in cui è protagonista un operaio. Qui Arthur Seaton (inspiegabilmente ribattezzato Jimmy nella versione italiana), operaio specializzato nell'industria pesante, in quel di Nottingham. Il problema non sono tanto i soldi - qui nessuno muore di fame - ma la difficoltà dei rapporti umani: tra figli e genitori, tra mariti e mogli, tra ragazze e ragazzi, tra le generazioni più anziane e quelle nuove, tra le istituzioni e i cittadini. Neppure si può dire, come è stato fatto, che la trama del film si riduca al fatto che una ragazza borghese riesce ad incastrare con il matrimonio il giovane e ribelle Arthur/Jimmy, operaio quasi modello, seppure scanzonato, che si professa comunista. Al centro del film vi è questa società britannica, uscita dalla seconda guerra mondiale, vinta senza alcun entusiasmo, anche perché ha portato con sé la consapevolezza della fine dell'Impero, mentre per la massa proletaria non rimane che una vita abbastanza grigia tra la casa e il pub, dove consumare pinte di birra scura, per abbrutirsi in settimanali sbornie. Ed è una società fondamentalmente triste: e mostrarla, all'epoca, fu un'operazione di grande rottura con il passato (in singolare coincidenza con l'avvento della nouvelle vague francese), anche della cinematografia britannica, dove dominavano le commediole sentimentali prodotte dalla Rank. Eccellente esordio nel lungometraggio per l'angloceco Reisz (1926 - 2002), che si avvale qui della fotografia del sempre valido Freddie Francis e di una vera forza della natura, come il giovane attore Albert Finney, nel fiore della sua creatività recitativa.
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