Regia di Carla Simón vedi scheda film
Pezzi di mondo in via d’estinzione. Intrappolati in un procedimento di trasformazione che non guarda in faccia a nessuno, che accelera brutalmente ogniqualvolta si ritrova al cospetto di un ostacolo, stiamo perdendo sine die una parte di noi.
Umanamente parlando, ormai la parola data non ha più il valore di una volta, quando contava esattamente come un contratto scritto, tirare la cinghia per raggiungere gli obiettivi prefissati è diventato un peso insostenibile, spaccarsi la schiena è considerato come uno svilimento del proprio potenziale. Socialmente, stiamo smarrendo delle conoscenze secolari tramandate di padre in figlio, la possibilità di affermarci con le nostre forze senza doverne rendere conto a nessuno, l’identità di quelle comunità che erano abituate a svolgere – una generazione dopo l’altra – determinati compiti con passione e perizia.
Alcarràs – L’ultimo raccolto si sofferma sulla realtà rurale, su atolli che stanno scomparendo, affrontando gli effetti delle riconversioni in atto pur rimanendo assolutamente ribaltabile su molti altri contesti. Ed è più attuale di quanto non potesse pensare quando è stato formulato e realizzato, in virtù delle problematiche sopraggiunte nel frattempo (vedi l’inflazione e i costi della materie prime che vanno a gravare in maniera particolare sulle piccole imprese di stampo familiare).
Da tempi immemori, la famiglia Solé gestisce un frutteto su un suolo in affitto, che però dovrà abbandonare una volta terminato l’ultimo raccolto di pesche. Infatti, i proprietari hanno deciso di utilizzare il terreno per installare dei pannelli solari, una scelta inaccettabile per chi ha trascorso su quei campi la sua intera esistenza e chi, come Quimet (Jordi Pujol Dolcet), ancora oggi, sta facendo dei salti mortali per gestire l’attività.
Questo bivio senza ritorno apre dei contenziosi anche all’interno della famiglia Solé, mentre la protesta monta su scala più ampia, per richiedere un trattamento economicamente più rispettoso di chi lavora nei campi.
Incoronato con l’Orso d’oro al Festival di Berlino, Alcarràs – L’ultimo raccolto è stato sceneggiato e diretto da Carla Simón pescando dalle esperienze ricavate dalla famiglia della sua madre adottiva, dispiegate in un’altra estate (vedi il suo delicato film precedente, Estate 1993), tra i giochi dei bambini, il duro lavoro degli adulti, i ricordi degli anziani e la destabilizzazione che affligge gli adolescenti, chi è ormai sul punto di muoversi in autonomia, collocandoli in uno scenario agricolo (per assonanze, vedasi a vario titolo Nel nome della terra e A qualsiasi prezzo).
È una pellicola di cui risulta facile respirarne ogni singolo umore, percependone tutti i sapori emessi, che applica la politica dei piccoli passi. Dunque, fotografa uno stato di fatto, girovaga tra i campi insediandosi nelle dinamiche di una famiglia, allestendo conversazioni a più voci tra unità innate e divisioni prospettiche, redigendo un affresco/ritratto corale che, tra spirito di appartenenza e punti di rottura, semina, fermenta e raccoglie vari gradi di separazione, racchiudendo uno stralcio di mondo destinato a svanire nel nulla, per lasciare spazio al progresso e a chi, forte della sua forza produttiva, riesce a restare al passo del mercato, con tutte le ricadute che questo scatena.
La trentaseienne regista catalana utilizza un linguaggio immediato e altamente comunicativo, dimostra dimestichezza con i temi snocciolati e le istanze trattate, descrivendo un conto alla rovescia che non guarda mai l‘orologio pur non potendo glissare sull’esito finale, scegliendo di destinare proprio all’epilogo le sue uniche - indimenticabili e inevitabili - scene madri.
Dunque, Alcarràs – L’ultimo raccolto è un film a distanza ravvicinata, per come si esprime, minuto e disteso, che lancia alla collettività un lodevole monito sulle sfide quotidiane che stiamo vivendo e affrontando senza averne piena coscienza, mettendo per iscritto che tutto ha un costo e che in tanti sono con le spalle al muro, circondati dal nuovo che avanza, e ne pagheranno lo scotto. Con confronti generazionali, di difficile gestione, e di classe sociale (insanabili), tra gioie e delusioni, acciacchi e confidenze, (tanta) fatica e (poche) ricompense, dedizione e divergenze, eredità disgregate e un’intaccabile dignità.
Avvolgente, maneggevole e intonato.
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