Regia di Michel Ocelot vedi scheda film
Quella del francese Michel Ocelot è un’animazione che si distacca parecchio da quanto ormai siamo da anni abituati a vedere, ovvero orientate a sbalordire tramite dettagli sempre più tecnologici, e con questo suo secondo lungometraggio, il primo è il ben più conosciuto “Kirikù e la strega Karabà” (1998), conferma di possedere una tecnica ricercata e di saper dosare un racconto con semplicità e beltà.
Si tratta di sei episodi da circa dieci minuti cadauno che scaturiscono dalla fantasia di due bambini ed un operatore.
Primo episodio : per liberare la principessa da un incantesimo che l’ha trasformata in statua, un principe deve trovare 183 diamanti in breve tempo, pena quella di essere trasformato in formica.
Secondo episodio : nell’antico Egitto un contadino decide di donare i suoi fichi, incredibilmente maturi fuori stagione, alla regina che apprezzerà il suo gesto tanto da scatenare una pericolosa invidia.
Terzo episodio : quella di espugnare un castello di una strega sembra un’impresa impossibile, ma laddove la forza bruta non funziona la gentilezza di un nobile principe può fare miracoli.
Quarto episodio : In Giappone, un uomo rozzo vuole approfittarsi di una nonnina che però sa bene come difendersi e il rapporto di forza tra i due finirà con l’essere ben diverso da quanto le apparenze possano lasciare ad intendere.
Quinto episodio : Anno 3000, per conquistare la regina, il pretendente deve riuscire a nascondersi e non farsi trovare fino a sera, pena la sua eliminazione fisica.
Sesto episodio : un principe ed una principessa si danno il primo bacio e questo porterà l’uomo a trasformarsi in rospo. Il secondo bacio non risolve le cose, anzi da il via ad una serie senza fine di trasformazioni.
Si viaggia in epoche, dal trapassato al futuro anteriore, ed in luoghi molto lontani, dall’Egitto al Giappone, ma soprattutto si lavora di fantasia, con un clima sereno che permette di raccontare situazioni potenzialmente di paura portando a generare sentimenti di ben altro tenore.
Anche i tempi sono congrui per il tipo di sviluppo e le singole storie possiedono un gusto d’antiquariato che se da un lato può apparire come troppo elementare, dall’altro produce una certa soddisfazione, frutto di una grazia e di modi di fare naturali e diretti.
Ne è un chiaro esempio l’ultimo episodio, che ricerca maggiore ilarità rispetto a tutti gli altri, nei quali aleggia una sensazione di pericolo ma è solo apparenza dato che regna una variegata morale, e che porta alle estreme conseguenze il classico “bacio che trasforma un rospo in principe”.
In più, la versione italiana si avvale di un doppiaggio brillante ad opera di Anna Marchesini e Pino Insegno che danno sfoggio di un deciso estro (simpatico anche il breve dietro le quinte con i due impegnati in studio di registrazione).
In conclusione, si tratta di una piccola e delicata opera che riporta in auge l’artigianato di valore, che punta alla purezza incontaminata e che comunque nel suo tratto basilare, di disegno ma anche narrativo, solleva principalmente sensazioni spesso sopite che fa un certo piacere ricordare.
Soave.
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