Regia di Ben Younger vedi scheda film
Un gran bel film, in cui l’esordiente Ben Younger a 28 anni mette dentro tutta la verità e l’orrore che ha vissuto da prima persona lavorando in borsa. Buona parte della sceneggiatura è letteralmente memorabile.
«Guadagno facilissimo». Questo è il mito di tali bestie individualiste: dei barbari, che non possono vivere senza cocaina. Altrimenti la verità di ciò che fanno e della loro condizione li farebbe deprimere, fino a diventare insopportabile. Il cosiddetto “edonismo reaganiano” era ancora vincente, e lo è ancor di più oggi, a 21 anni di distanza dal film: mostra tutto il suo palpabile squallore umano e culturale, nonché il suo dannosissimo impatto sociale; per il profitto di pochi vengono sacrificati la felicità e perfino i diritti delle moltitudini.
«Vogliamo solo gente che si faccia il culo per questa società (non per il mondo, ma ovviamente per quella impresa, ndr)… Vogliamo i vincenti, i perdenti lavorano a orario… Siamo qui per essere schifosamente ricchi, non siamo qui per salvare il mondo… Non devi vendere azioni, devi vendere un sogno…Devi esere aggressivo, ogni telefonata, una vendita». Queste sono alcune perle dei monologhi motivatori (?) di un convincete Ben Affleck, che sfrutta proprio ciò per cui era stato sfruttato a sua volta: la frustrazione, che può essere risolta solo con un sogno effimero, e soprattutto falso, quello del guadagno facile che da solo può cambiare una vita, attirando il rispetto di molti, assieme al desiderio di varie donne, molte più di prima almeno. Il broker qui si lascia illudere su qualcosa che non avrà quasi mai, e intanto ingrassa il Mangiafuoco di turno.
«Da vendere cocaina a diventare operatore di borsa». Non c’è una gran differenza per il protagonista: si tratta comunque di vendere qualcosa che fa male paradossalmente allo stesso cliente, il qual non vi rinuncia però, perché vi lega il riscatto dalla sofferta mediocrità da cui si vuole arrancare una volte per tutte, costi quel che costi, appunto. Cioè, deliberatamente senza valori morali.
«La bisca era regolare,(con gente consenziente, ndr), non mi dovevo vergognare… È il nostro lavoro rubare e dire menzogne». Il protagonista, interpretato da un ottimo Giovanni Ribisi, attribuisce alla prassi, ormai regolare, della finanza il valore che assai spesso le è stato attribuito dai suoi medesimi operatori: fa più danni delle bische, addirittura. In queste ultime si ruba a gente malata e cosciente del male che si fa; nella finanza si è sdoganato l’inganno, la frode. Infatti il padre stesso (splendido è poi il confronto generazionale, con il padre, giudice arcigno, del tutto incapace di educare bene il figlio, che infatti prende cattive strade, non ultima quella della Borsa), può a buon diritto rimproverare al figlio: «Questo è peggio della bisca, è rubare: stai distruggendo delle vite umane…Prometti profitti ai clienti. Dimmi, a chi li hai fatti fare questi profitti?». A nessuno. Infatti quella società faceva qualcosa che era, ed è, promettente, in quanto tollerato a grandi linee (è illegale, ma permesso sovente, di fatto): promettere vantaggi favolosi con società fittizie, per poi sparire, e/o cambiar nome, rovinando i clienti che erano stati frodati e quindi derubati scientemente.
Purtroppo questa non è immaginazione: è storia, di milioni di casi di famiglie andate sul lastrico da ladri in giacca e cravatta (anche con la crisi del 2008…) Che non possono essere stupidi: sono intelligenti, e spesso hanno studiato. Infatti, se avessero studiato di meno, avrebbero avuto meno mezzi per ingannare la gente. Ma hanno studiato al fine di saper rubare meglio: e in tanti casi, la storia dimostra che ce l’hanno fatta. Storia del capitalismo, uno dei grandissimi mali dei nostri tempi.
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