Regia di Giulio Questi vedi scheda film
Ad una prima visione si resta spiazzati da La morte ha fatto l'uovo (gran bel titolo di matrice surrealista), diretto da G. Questi e sceneggiato insieme a Franco Arcalli (in modo un po' zoppicante). Alla seconda però ci si rende conto meglio del perché questo film, ingabbiato convenzionalmente nel genere thriller, ci abbia lasciato con un vago senso di smarrimento e lo si comincia ad apprezzare con un po' più di convinzione: infatti solo l'impalcatura esteriore è da thriller, nella forma e nel contenuto è più un'opera sperimentale e una critica algida, un po' grottesca e ironica sulla società dei consumi, sulle ricerche scientifiche scriteriate e sulla vita borghese. Saranno i soliti temi, ma sono ancora attuali e la regia è la cosa più interessante del film, insieme a montaggio e colonna sonora.
La trama degli intrighi da una parte non risalta forse per particolare originalità, ma dall'altra ha il pregio di mescolare le carte. I primi tre quarti d'ora non hanno sviluppi d'azione particolarmente degni di nota, essendo tracciati in modo abbastanza lento, e la storia si smuove con più decisione nell'ultima mezz'ora. Le caratteristiche però che ne fanno un prodotto anomalo, come accennato, sono nella regia e nella fotografia, attente alla cultura figurativa della pop art per le scenografie dell'allevamento dei polli, con immagini luminose, fredde, con i bianchi del piumaggio, di certi vestiti di G. Lollobrigida o il biondo da pulcino dei capelli di E. Aulin, e con le immagini dei cartelli pubblicitari, messi in mostra nel loro infantilismo.
Certi effetti stranianti e affascinanti, da surrealismo prosciugato e privo di rarefazioni, sono innescati dal rapporto tra inquadrature ravvicinate su particolari dei corpi, movimenti di macchina a volte veloci e trasversali, altre volte più lenti e lineari, montaggio ritmico e in certi casi fortemente emotico, voci lontane e musica di Bruno Maderna (uno dei massimi autori del XX secolo). Questa è costituita da grovigli di note cozzanti (titoli di testa), accordi aggressivi di chitarra, manipolazioni di ritmi popolari (la musica da ballo per l'allevamento dall'andamento umoristico e informe) e assoli acuti di violino nei momenti più morbosi e psicologici (le perversioni sessuali di J.-L. Trintignant).
C'è chi ha fatto notare riferimenti bunueliani nella trama (di cui preferisco non evidenziare troppi particolari), come nel personaggio di Trintignant (El) o nel gioco squallido di società (L'angelo sterminatore), quest'ultimo ambientato in una stanza vuota e tutta bianca adibita agli scambi di coppie, ingabbiate come galline. Una società le cui razionalità e avidità generano letteralmente mostri. In fondo tutti siamo immischiati in una catena alimentare, ma ignari di ciò che mangiamo veramente e in cui l'orrore è solo un prodotto morale ignorato dal profitto... 7 1/2
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