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Una notte al cimitero

Regia di Lamberto Bava vedi scheda film

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La recensione su Una notte al cimitero

di scapigliato
6 stelle

Lamberto Bava gioca con l’ironia tipica dell’horror e riesce a creare un film che, nonostante l’imbarazzante sceneggiatura, piace ugualmente per il gioco grezzo della messa in scena. Una bidimensionalità artigianale, un po’ pochista, ma che sembra ben tradurre iconograficamente la sensibilità e il fascino “nero” del racconto orrorifico di vecchio stampo, quello ottocentesco o quello che si racconta intorno al fuoco. Bava comunque prende le mosse, e Sacchetti con lui, dallo slasher alla Tobe Hooper con un gruppo di ragazzi in carne, belli e seducenti, inclini alle trasgressioni, che se la viaggiono su un pulmino scalcagnato proprio come in “Non Aprite Quella Porta”. Ma da qui, attraverso citazioni cinefile e battute brillanti che sembrano anticipare il gioco metanarrativo e ironico di “Scream”, Bava gioca con degli stereotipi orrorifici precisi, radicati nell’immaginario, e gli dà fisicità, plasticità vera. Ecco che riappaiono nel racconto fiabesco nero le scommesse con la Morte, in particolare quella di passare un’intera notte in un luogo maledetto per poi prendersi un premio (come “Nella Stretta Morsa del Ragno”). Troviamo vecchie osterie fumose, popolate da morti(?), cimiteri diroccati con statue che spariscono puerilmente solo per permettere una bella citazione, e chiaramente incontriamo tombe, lapidi, bare, ragnatele, ululati, cripte labirintiche, carrozze funebri trainate da sei cavalli neri, e ovviamente troviamo molti zombie. I famosi “ritornanti”, tanto cari a Bava senior, vengono qui restituiti in tutta la loro “bellezza” plastica. Non c’è digitale e non ci sono giochi di luce: è tutta carne. Un trucco molto bello, che insieme a quel posticcio fumo che funge da nebbia alla “The Fog” di Carpenter, riesce a dare davvero una sensazione di ancetrastralità, di racconto atavico, che seppur fatto visibilmente di cartapesta regge il confronto con la realtà, di cui non ha nessun referente. Le freddure dei ragazzi protagonisti non sono male, è che vengono appiccicate su dialoghi così deboli che nemmeno l’amatoriale. Ma il film diverte per quello che è, e manifesta un’amore per l’artigianato horror che oggi s’è perso. E se anche il finale, con agnizione metafisica inclusa, sembra telefonato alla meno peggio, è un’ulteriore occasione per giocare, che di gioco il film si tratta, con la partita della vita: quella con la morte. In più il film dà la possibilità di vedere tra gli interpreti il bel Karl Zinny, oggi disperso, e un giovanissimo Gianmarco Tognazzi, verace e bonaccione come oggi non lo è più.

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