Regia di Robert Altman vedi scheda film
"Because in my empire life is sweet
Just ask any bum you meet
And you may say that I ain’t free
But it don’t worry me…”
Nashville, Tennessee: ressa e clima di festa in occasione del grande festival cittadino di musica country, che attende ospiti canori illustri come Haven Hamilton (Henry Gibson) e Barbara Jean (Ronee Blakley), due divi di grande portata, o ancora il trio folk Bill, Mary & Tom (Keith Carradine) e la cantante gospel bianca Linnea Reese (Lily Tomlin).
La grande varietà di impianti a disposizione, fra spazi aperti e una moltitudine di locali, diventa la possibilità di manifestare a tappeto per la campagna elettorale di Hal Phillip Walker, leader del Replacement Party, il cui organizzatore politico di punta è John Triplette (Michael Murphy), appositamente presente in città per contrattare sostegni e connotazioni politiche da affibbiare all'evento. Il richiamo della manifestazione, in effetti, è forte, tanto da attirare in città la giornalista inglese della BBC Opal (Geraldine Chaplin), solo uno dei molti esempi di persone comuni affascinate dalle star: non ultime, la scheletrica L.A. Joan (Shelley Duvall), l'aspirante cantante Winifred (Barbara Harris) e la cameriera stonata Sueleen Gay (Gwen Welles), incantevole wannabe convinta di essere portata per il canto.
Il festival dura cinque giorni, durante i quali procedono i preparativi per il galà finale di Walker ed emergono, annidati fra lo splendore e l'orgoglio, tutte le meschinità e le miserie di questi esseri umani…
“Nashville” nasce grazie alla penna di Joan Tewkesbury, già sceneggiatrice di “Gang” e fedele scudiera di Altman: questa, durante una specie di sopralluogo nella città del Tennessee, scrisse un diario, sfruttato poi come base per la sceneggiatura. La genesi non è del tutto chiara, ma è cosa nota che Altman sapesse il giusto di musica country e della città, tant'è che il risultato finale non è semplicemente un film sulla scena musicale della quieta cittadina detta “L'Atene del Sud” (da cui l'orrida copia del Partenone ivi eretta in gesso e ricostruita in calcestruzzo), che ebbe pure l'onore del titolo.
Non è un film banale: ok, è sostanzialmente un musical (dato a sostegno: un'ora buona di musica su 160 minuti totali), i cui testi sono abilmente connessi in modo sottile alle vicende e i cui protagonisti sono legati da connessioni inusuali, ma resta il fatto che per due ore non si capisce bene di cosa stia parlando. Fortunatamente, con l'angosciante e surreale finale incancellabile, diventa limpido un quadro generale: “Nashville” è il ritratto di un Paese confuso, scombussolato fra Vietnam e Watergate, indistintamente annegato nell'ipocrisia propria sia di vecchi tradizionalismi e idealismi, sia delle nuove mode in fiore (la groupie superficiale e dimentica della zia malata, l'arrembante partito dell'invisibile Walker e del suo tirapiedi, la sciacalla corsa alla celebrità).
Già sbandierata nei titoli di testa, falsamente ossequiosi di un certo stile, è la presenza di 24 (sì, ventiquattro) personaggi principali; è il primo autentico racconto corale di Altman, privo di un vero protagonista e calibrato attraverso una messa in scena magistrale, in cui la consueta sperimentazione dell'overlapping raggiunge vertici di armoniosa confusione e il montaggio incastra ogni tassello con precisione.
Non è stato doppiato, scelta più che mai felice, vista la mole di cantato; a proposito, indiscutibilmente centrale è il personaggio interpretato da una cantante inizialmente scritturata solo per scrivere parte della colonna sonora, ovvero la bravissima Ronee Blakley, i cui brani hanno una grande carica emotiva; questo senza nulla togliere all'attore Henry Gibson (il capo dei nazisti dell'Illinois in “Blues Brothers”, fra l'altro) e a Keith Carradine, che grazie a “I'm Easy”, romantica e ironica ballata per voce e chitarra acustica arpeggiata, fu l'unico “addetto” al film ad aggiudicarsi un Oscar, quello per la miglior canzone originale. Tutti i brani di “Nashville” sono originali composti dagli interpreti, causa, secondo Altman, delle critiche poco benevole che pressoché l'intera scena country di Nashville riservò al suo film, ritenendolo caricaturale. Non videro più in là del proverbiale naso: fu un successo e lo resta tuttora, a quarant'anni di distanza.
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