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Nashville

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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La recensione su Nashville

di maso
10 stelle

 

L’America popolar musicale, elettorale e provinciale ha la capitale a Nashville in questo festival yankee di personaggi realmente non esistiti messo insieme da un Altman mai così distaccato e cattivo nei confronti degli usi e dei costumi del suo paese, valori precari espressi dalla interazione e le caratterizzazioni dei suoi attori, ai quali fu richiesto un approccio creativo nella concezione dei loro ruoli: nella definizione estetica, nei dialoghi che vennero spesso improvvisati e nella stesura delle canzoni.

Al contrario di altri suoi film più graffianti realizzati fino a quel momento in cui aveva sempre inserito un elemento di disturbo che smorzava i toni come quello grottesco e satirico di cui è saturo un film come “M.A.S.H.” dove si parla di ospedali da campo e giovani sventrati sulle lettighe con quelli che li curano che la mettono sul ridere, o la concezione assolutamente singolare di favola espressa in “Brewster Mcloud” in cui è riuscito a narrare il desiderio di libertà dei giovani reduci dal sessantotto attraverso un saggio di ornitologia, questa volta si rimane con i piedi ben saldi sul pianeta America osservato dalla sua telecamera con l’attenzione di un documentarista che vuole lasciare la testimonianza filmata di un evento che per noi italiani ha il sapore della festa dell’unità dove si balla il liscio dell’orchestra condotta da Raul Casadei, è per questo che l’impatto ambientale di “Nashville” sugli spettatori non americani può risultare parecchio traumatico ma coloro che celano un’indole curiosa per il prezioso cinema americano degli anni settanta lo troveranno irresistibile.

La musica country intrisa di finger picking, chitarre slide e testi lontani da casa è un mezzo di diffusione per interfacciarsi con i personaggi ed i loro caratteri singolarmente unici, portatori di una identità personale e nazionale che a Nashville genera contrasti sentimentali e politici, sogni infranti, violenza, squilibrio, possibilità di successo e propaganda politica.

Il sottotitolo è essenziale in un film impossibile da doppiare, karaoka i dialoghi e le canzoni ma a volte suggerisce semplicemente di aggrapparsi ai personaggi con il loro vagabondaggio perpetuo nella pellicola, sui palchi, fra i tavoli del circo popolare di Nashville dove la telecamera di Altman è altamente nociva ai suoi connazionali ma estremamente lieve e leggiadra mentre si infila nello studio di registrazione nel quale la star Haven Hamilton (Henry Gibson) commemora i 200 anni di vita U.S.A. inaugurando il festival visivo sonoro che è Nashville in Nashville, altezzoso e cotonato scaccia Opal (Geraldine Chaplin) giornalista arrembante perché rovina l’atmosfera ma in realtà è un pianista capellone in vena di rivoluzione a stonare durante la registrazione, Opal si rivela però elemento vivace e di raccordo nella trama entrando in contatto con molti personaggi fra i quali Linnea (Lily Tomlin) cantante gospel ma madre di bimbi avvolti nel silenzio e sposa noiosa di Delbert Reese (Ned Beatty) incaricato dal galoppino John Triplette (Michael Murphy) di organizzare uno spettacolo con i migliori musicisti country in onore del fantomatico candidato politico Hal Philip Walker che non ha un corpo come gli altri ma rappresenta una presenza serpeggiante tra la gente dalla quale l’America non può prescindere mai.

Giungono allora personaggi di ogni tipo per i cinque giorni di festival nella capitale del Tennessee, super star come Tom Frank (Keith Carradine) fuoriuscito dal trio che formava con Bill e Mary (Allan F. Nichols e Cristina Raines ) giunti anche loro alla kermesse, così come la soubrette Connie White (Karen Black) e soprattutto la regina indiscussa del country Barbara Jean (Ronee Blakley) reduce da un duro esaurimento che mina ancora la sua salute, un nuovo collasso la costringe alle cure ospedaliere per questo il marito/manager Mr Barnett (Allen Garfield) non la perde d’occhio ma anche due assidui ammiratori la seguono in ospedale e ad ogni sua esibizione al festival, sono il soldato semplice Glenn Kelly (Scott Glenn) e il violinista dilettante Kenny Fraiser (David Hayward) che non apre mai la custodia del suo strumento da cui non si separa mai.

Kenny trova alloggio dall’anziano Mr. Green (Keenan Wynn) triste e rassegnato per le condizioni di salute della moglie ricoverata, l’arrivo da Los Angeles della nipote L.A. Joan (Shelley Duvall) sembra rincuorarlo un po’ ma la pittoresca ragazza giunta in città per visitare la zia malata si fa travolgere dall’euforia cittadina per l’avvenimento, anche Albuquerque (Barbara Harris) è giunta a Nashville da poco ma accompagnata dal marito e l’ambizione di diventare una cantante di successo, sogno che cova anche la cameriera Sueleen Gay (Gwen Wells) che a Nashville ci vive senza rendersi conto della pochezza delle sue doti canore come della scarsa presenza scenica.

Un mosaico coloratissimo di personaggi capaci di dare vita ad un quadro musicale arricchito dalle improvvise canzoni e le improvvisazioni degli interpreti che hanno seguito liberamente il copione fornito da Altman poi ripreso in esatta sequenza dallo studio di registrazione fino al Paltenone dove tutti i personaggi convergono per il gran finale: qualcuno spara e qualcuno muore, nessuno piange e lo spazio vuoto lasciato può essere riempito, e cantato…non siamo a Dallas ma a Nashville……come in tanto cinema americano di vita ripresa o ripreso dalla vita ci si domanda perché qualcuno ha sparato e perché si è morti ma come sempre la risposta non ci viene fornita, le supposizioni si creano.

Il lavoro fluviale di Altman ha prodotto più di settanta ore di girato, si pensò anche di sfruttarle in una mini serie o comprimerle in due film da intitolare “Nashville Blu” e “Nashville Rosso” ma alla fine si è preferito concentrare il meglio delle riprese in un unico film che viene da molti considerato il primo del cinema americano a seguire più personaggi messi sullo stesso piano, il lavoro di improvvisazione degli attori si fonde con la loro vita vissuta e il film: Barbara Baxley viene ripresa mentre fa il suo resoconto amaro sui Kennedy e Altman non se la lascia scappare, Ronee Blakley racconta di come da piccola il suo abito di carnevale prese fuoco e questo episodio diventa un ricordo del suo personaggio, Elliot Gould è nei suoi panni così come Julie Christie che viene riconosciuta da Haven Hamilton “Ha vinto un oscar ma non chiedetemi per quale film” (Il film è “Darling” per essere precisi).

La cattiveria di Altman nei confronti dei suoi concittadini emerge subdolamente in scene come quella appena citata, o quando Shelly Duvall preferisce andare a divertirsi piuttosto che far visita alla zia malata, quando Opal intervista Linnea carica di entusiasmo ma a un certo punto le chiede se i suoi figli diventeranno cantanti come lei scopre che sono non udenti, disgustata in volto esclama “E’ orribile”, Linnea è una delle vittime preferite di Altman forse perché Lily Tomlin la interpreta con molta vulnerabilità e dolcezza: dopo il lungo corteggiamento di Tom Frank cede alle sue avance ma quando rifiuta di trattenersi con lui un’altra ora Tom Frank non perde tempo, Linnea non è ancora uscita dal suo letto che già sta chiamando un’altra amante.

Le sequenze più memorabili per motivi differenti sono il già citato finale che mescola cattiveria e cinismo con musica e politica, i temi forti del film, sicuramente lo spogliarello triste di Sueleen Gay per sopperire alle sue carenze canore mentre una platea di politicanti occhialuti e incravattati la ricopre di insulti e lattine di birra, una cattiveria dei potenti che accosterei a quella osservata nel nostro “Fantozzi” quando Mariangela il giorno di Natale viene trattata come una scimmia, si sa che gli indifesi sono un bersaglio facile di chi comanda.

La sequenza dell’incidente ha una valenza didattica non indifferente che di li a poco Schlesinger migliorerà nel suo “Honkytonk freeway”, un film imparentato con Nashville che a livello tecnico gli è anche superiore ma non ebbe la sua fortuna.

La chiusura spetta senza dubbio alle canzoni indimenticabili che esprimono molto dei loro personaggi, le situazioni e il paese che rappresentano, ognuno ha le sue preferite, io mi prendo tutte quelle cantate da Ronee Blakley, stupenda nel suo fragile personaggio modellato anima e corpo su Loretta Lynn, la storica cantante country interpretata dalla Spacek in “Coal mine daughter”, dei suoi brani ascolterei all’infinito Idaho home e Tapedeck in is tractor mentre un discorso a parte merita Keith Carradine: sostituì Gary Busey che gli concesse di cantare Since you’ve gone, la canzone che aveva scritto per il personaggio del chitarrista donnaiolo Tom Frank che fa breccia nel cuore di Mary, Opal, L.A. e Linnea con la canzone dal sound più internazionale che infatti venne premiata con l’Oscar e ha fatto il giro del mondo.

 “I’m easy” (Sono facile, arrendevole) fu scritta ed eseguita da Carradine ed è uno dei grandi ever green della musica moderna, è uno dei pezzi in repertorio che non tolgo mai dalla scaletta, Altman lo piazza nella scena più famosa e indubbiamente più bella del film: Tom Frank la annuncia come fresca di registrazione mentre tra il pubblico sono presenti tutte e quattro le donne che ha corteggiato nello svolgersi del film, la esegue e ognuna di loro si sente omaggiata da quella melodia romantica in cui Frank si rivolge direttamente alla donna che presumibilmente lo ama, Altman da il meglio rimbalzando dagli sguardi e le note di Carradine ai volti delle attrici, Cristina Raines (bellissima e vera compagna di Carradine nella vita) nasconde fiera la lusinga, Shelly Duvall sotto il suo pesante trucco e i capelli folti si lascia andare ad un sorriso compiaciuto, la Chaplin arrossisce convinta mentre la Tomlin (bravissima con il volto impietrito) in fondo alla sala cede con le spalle al muro alle avance di Frank al quale aveva resistito fino a che I’m easy non è entrata nelle sue orecchie.

Nashville è alla posizione 59 fra i 100 film più importanti del cinema americano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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