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Nashville

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nashville

di Peppe Comune
10 stelle

Un festival di musica country fa convogliare a Nashville un nutrino numero di musicisti, volti noti come i popolarissimi Barbara Jean (Ronee Blakley) e Haven Hamilton (Henry Gibson), i fascinosi Tom Frank ( Keith Carradine) e Connie White (Karen Black) e altri in cerca di un trampolino di lancio e di un pò di visibilità. Per cinque giorni, la capitale del Tennessee diventa il centro attorno al quale ruotono le esperienze di vita di diverse persone. Sullo sfondo c'è la preparazione della campagna elettorale per le presidenziali e il candidato repubblicano Hal Philip Walker (che non viene mai mostrato) squinzaglia i suoi galoppini per usare strumentalmente la kermesse musicale per le proprie finalità propagandistiche e sceglie il sud come punto focale della sua ascesa politica perchè questa è la parte del paese più ricettiva ai proclami repubblicani. Così, mentre la città si popola di persone e si alternano le esibizioni canore, un furgoncino si aggira con tanto di megafono per perorare il programma "ultrapopulista" del candidato repubblicano alla Casa Bianca.

 

 

"Nashville" è un capolavoro che riesce nel miracolo di far trasparire la confusione esistenziale di un'intera generazione attraverso l'apparente casualità con cui le persone e i fatti rappresentati si incontrano tra di loro. Robert Altman armonizza con raffinata maestria un mosaico multiforme di personaggi e situazioni si da far emergere uno dei quadri più lucidi e veritieri sull'America degli anni settanta che il cinema (e non solo) ci abbia mai proposto. A Nashville si intrecciano cinismo, ambizione, disincanto, demagogia, ipocrisia, nevrosi, crisi esistenziali, regole dello show business, e il tutto fa il cuore pulsante di un paese alle prese da una profonda crisi identitaria, ancora claudicante per i fatti di Dallas e sconvolto dallo scandalo del Watergate e la guerra in Vietnam. Un paese che si scopre uguale agli altri, con gli stessi drammi e le stesse debolezze strutturali. Ecco, la maestria di Altman sta nel fatto che la sensazione di spaesamento di un intero popolo, l'agonia del "sogno americano", si percepiscono tra le pieghe di esperienze umane che sembrano rimaste sospese in una sorta di limbo atemporale, incerte su cosa sia più giusto fare, strette tra un passato recente pregno di speranze e un presente votato all'incertezza. Una condizione che genera più tensioni sociali di quanta riesca a produrne la loro perdita di coordinate. Ed è sullo sfondo di questo stato di tensione latente che Altman ci prepara un finale di desolante amarezza. Al concerto di musica country organizzato per favorire la vittoria elettorale di Hal Philip Walker si consacra, tanto il collante forte tra due simboli della "vecchia America", portatori della più genuina anima conservatrice, quella che starebbe per essere spazzata via dai nuovi suoni che giungono da Woodstock, emblema di una nuova generazione in rivolta, quanto il punto di maggior cesura tra due "epoche" che non sanno più armonizzare pacificamente le rispettive esigenze. Nello scenario fasullo del "Partenone" di Nashville, tra la folla giubilante, spunta una pistola che colpisce mortalmente Barbara Jean. La storia si ripete di nuovo acuendo il grado di degenerazione sociale. Emblematiche le parole di Haven Hamilton ("State calmi, qui non siamo a Dallas, siamo a Nashville. Fate vedere di che pasta siamo fatti, non possono fare così qui. Coraggio, cantate ! Cantate tutti") che regolarizzano la continuazione di una farsa. La morte non può e non deve fermare lo spettacolo. Il microfono viene preso da Albuquerque (Barbara Harris) che intona "You may say that i ain't free, but it don't worry me" (Puoi pensare che io non sia libera, ma non me ne importa). Il coro e il pubblico iniziano a seguirla in un clima di agghiacciante indifferenza per il sangue che è stato appena versato. E' un inno alla vecchia America probabilmente, per esorcizzare la fine dell'illusione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Il film venne candidato a quattro premi Oscar (miglior film, regia, attrice non protagonista per Lily Tomlin e Ronee Blakley) vincendo solo quello per la miglior canzone, la bellissima "I'm Easy" cantata da Keith Carradine che divene un pò la colonna sonora di quegl'anni. Un capolavoro di dissacrante lucidità.

 

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